infiammazione feat

L’infiammazione è un processo fisiologico dell’organismo per neutralizzare l’azione di agenti patogeni e/o lesivi così da ripristinare le normali funzioni e la normale anatomia dei tessuti e degli organi.


Quando si può parlare di infiammazione?

Quando si ha una lesione tissutale, a causa di batteri, traumi, sostanza chimiche, tumori, reazioni immunitarie, ecc, il tessuto coinvolto mette in atto una serie di processi in grado di indurre profonde modificazioni secondarie nei tessuti adiacenti a quelli danneggiati.

L’intero meccanismo viene detto infiammazione.


Come evolve?

Può evolvere in due modi:

  • Infiammazione acuta: si risolve in qualche giorno, quindi reversibile.
  • Infiammazione cronica: dura nel tempo (mesi o anni), si automantiene, c’è una marcata proliferazione cellulare che provoca danno tessutale.

Come si manifesta l’infiammazione?

infiammazione 02Inizialmente si presenta con la classica forma:

  • Rubor (rossore)
  • Tumor (gonfiore)
  • Calore
  • Dolore

Evolve con la  -> functio laesa, ovvero la perdita o limitazione funzionale con modificazione dell’anatomia.

Un agente lesivo ha una azione sul tessuto che avviene tramite i mediatori chimici dell’infiammazione (citochine, amine vasoattive, chinine) che provocano:

  • Dilatazione dei vasi sanguigni del piccolo circolo (rossore)
  • Aumento della permeabilità dei capillari con essudazione dei liquidi e delle proteine plasmatiche negli spazi interstiziali (presenza di edema)
  • Migrazione dei leucociti (i globuli bianchi lasciano il midollo osseo per dirigersi verso la zona dell’infiammazione e danno il via al processo di difesa e riparazione)
  • Liberazione dei mediatori dell’infiammazione che tra i vari effetti hanno quello di stimolare le terminazioni nervose del dolore.
  • Rigonfiamento delle cellule del tessuto leso

Il processo infiammatorio

infiammazione 03Il processo infiammatorio stimola l’organismo alla produzione e veicolazione dei macrofagi (cellule spazzine) e dei fibroblasti che sono i “riparatori” del danno ai tessuti, mentre il sistema linfatico locale si attiva per drenare l’edema.

A volte però i macrofagi possono danneggiare anche il tessuto sano.

Il rilascio di sostanze coagulanti creano attorno alla zona infiammata una barriera “chiudendo” gli spazi interstiziali e i vasi linfatici in modo da isolarla per rallentare la diffusione di batteri e delle loro tossine.

La situazione può evolvere verso la guarigione con ritorno alla condizione iniziale o a formazione fibrosa (formazione di una cicatrice nel caso di lesione ai tessuti).

Se l’infiammazione invece è persistente la flogosi si diffonde ai tessuti circostanti e ai tessuti interstiziali, è la così detta flogosi granulomatosa, ovvero le cellule cambiano la loro conformazione e la loro normale morfologia.

Ogni reazione infiammatoria deve essere proporzionata al grado di lesione tessutale. Se non si verificasse il processo infiammatorio si creerebbe un danno al tessuto o all’organo, ma se questo processo è sproporzionato può dar luogo ad una vera e propria patologia infiammatoria.

Anche la velocità con cui si sviluppa l’infiammazione è determinante.

Alcuni batteri sono molto invasivi e generano una reazione immediata dell’organismo che argina la loro diffusione, altri invece sono meno invasivi, per cui il meccanismo di difesa è più lento e può favorire la loro diffusione ad altri tessuti.

Tra le azioni di difesa che il corpo mette in atto c’è quella di far produrre al fegato una quantità maggiore di proteine plasmatiche che hanno lo scopo di ridurre il danno ai tessuti, servono da spazzini per eliminare le scorie dei processi chimici in atto.

La più utile dal punto di vista clinico è la PCr (proteina C reattiva) perché la sua presenza nel sangue aumenta in parallelo all’evoluzione della fase acuta. Infatti è quella che spesso si richiede tra le analisi del sangue per valutare la presenza o meno di un processo flogistico (sotto gli 8 mg/L normale).

infiammazione 04A volte dopo un processo infiammatorio, per esempio un danno cutaneo, può apparire il pus sulla ferita, ciò è dovuto al fatto che le cellule guardiane e spazzine come i neutrofili e i macrofagi inglobano un elevato numero di batteri e di tessuto danneggiato e muoiono, questo così detto essudato è il pus, che può essere raccolto in una cavità o in una sacca che lentamente viene riassorbita ed eliminata dai tessuti circostanti.


Come si può manifestare l’infiammazione?

infiammazione 05Oltre che a livello locale, ci sono delle manifestazioni sistemiche legate all’infiammazione che conosciamo bene come:

  • Febbre
  • Aumento della coagulazione
  • Astenia
  • Calo ponderale
  • Anemia
  • Modificazioni metaboliche

Tutte queste manifestazioni devono essere sempre monitorate e prese in considerazione dal paziente affinché si scopra al più presto l’origine e la zona colpita dal processo infiammatorio.

In questa fase è altamente sconsigliato fare attività fisica o trattamenti di qualsiasi tipo per non favorire la diffusione dell’infiammazione.

Conoscere un processo complesso come quello che vi ho descritto è di fondamentale importanza per il terapista affinché possa gestire meglio il paziente quando arriva in studio, in modo da valutare la possibilità o meno di iniziare un percorso terapeutico senza creare effetti indesiderati.

Il paziente invece deve essere messo a conoscenza di tali processi in modo da fornire al terapista le giuste informazioni e cogliere anche quei particolari che possono essere determinanti nel processo di guarigione.

Gli esercizi per le problematiche di anca, sono semplici ma efficaci da usare come programma sia terapeutico che di mantenimento.

Il trattamento conservativo delle problematiche di anca richiede, oltre che un corretto e specifico intervento da parte del fisioterapista o osteopata, una buona parte di lavoro attivo svolto dal paziente che comprende una serie di esercizi (da svolgere anche a domicilio) che hanno lo scopo di stabilizzare l’articolazione e rendere più elastici quei muscoli che risultano più tesi e accorciati.

Dato che l’anca fa parte di un complesso articolare che comprende il bacino e la colonna lombare, e con il quale lavora in sinergia, non ci si può fermare ad un semplice lavoro su ogni singolo muscolo ma bisogna intervenire su più catene muscolari per avere un’efficacia maggiore.


Per approfondire l’argomento vi invito alla lettura di un mio precedente articolo

DOLORE ALL’ANCA – L’IMPINGEMENT FEMORO-ACETABOLARE


 

Gli esercizi che vi propongo ne sono un esempio.

Sono esercizi semplici ma efficaci che qualsiasi individuo può ripetere e usare come programma sia terapeutico che di mantenimento.

In alcuni casi l’utilizzo di pesi o elastici che possano aumentare progressivamente il carico può essere un buon modo di lavorare gradualmente sulla forza.

La cosa importante di cui tener conto e che ripeto ogni volta che propongo un programma di lavoro attivo è LA REGOLA DEL NON DOLORE.

Ovvero durante gli esercizi non deve mai comparire il dolore, soprattutto quello che è stato il motivo della consultazione sanitaria, in questo caso meglio rivolgersi al professionista sanitario di riferimento che modulerà il programma di lavoro.

Si può usare la sequenza classica del 3 serie da 10.

Nelle fasi più avanzate, in cui si vuole lavorare un pò di più sulla forza si può usare uno schema progressivo, per esempio: 1° serie 500g, 2° serie 1kg, 3° serie 1,5kg.

Ogni esercizio può essere eliminato dalla sequenza o modificato in base alle proprie esigenze e capacità.

Iniziamo con gli esercizi

1. Nella prima fase si inizia con un leggero riscaldamento composto da tre semplici esercizi come sedersi e alzarsi da una sedia, salire e scendere da un gradino, tenere la posizione accovacciata per qualche secondo


2. Dalla posizione eretta a gambe leggermente divaricate mi fletto prima su un ginocchio e poi sull’altro in maniera alternata, avendo cura di mantenere le punte dei piedi rivolte in avanti.

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3. All’esercizio precedente aggiungiamo la posizione con le mani tese in avanti o sollevate verso il soffitto, si esegue lo stesso movimento tenendo contratta la parete addominale.

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4. Con la schiena appoggiata ad una parete mi piego sulle gambe (mai superare i 90° di flessione delle ginocchia) e tengo la posizione per qualche secondo. Si può cominciare con 10 secondi fino a salire a piacimento.

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5. Dalla posizione eretta, con uno scalino davanti, faccio dei leggeri affondi allungando leggermente il passo, tengo per qualche secondo il peso sulla gamba anteriore e torno in posizione di partenza.

L’utilizzo del bastone è facoltativo, controllare sempre la giusta contrazione della parete addominale e la posizione del busto che deve essere eretto e non piegato in avanti.

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6. Dalla posizione eretta, con le braccia stese in alto e l’addome contratto, faccio un passo lungo in avanti e un affondo fino quasi a toccare terra con il ginocchio posteriore, e torno in posizione iniziale.

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7. Dalla posizione eretta sollevare la gamba come per scavalcare l’ostacolo fino quasi a toccare terra con il piede che avanza e ritorno in posizione di partenza.

L’uso del bastone è facoltativo, la contrazione dell’addome durante l’esercizio è necessaria.

Nelle fasi avanzate si può fare con le braccia stese verso il soffitto.

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8. Con un piede su un gradino e l’altro furi compio un movimento come per scendere fino a sfiorare il pavimento e ritorno in posizione di partenza.

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9. Dalla posizione eretta con le braccia stese verso il soffitto e le gambe leggermente divaricate, scendo con le braccia mentre sollevo il ginocchio in alto con il leggero slancio.

In base alle proprie capacità posso anche andare sulla punta durante lo slancio.

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10. Da terra, come nella figura a sinistra, apro le gambe il più possibile senza mai staccare i piedi l’uno dall’altro. Nelle fasi più avanzate posso usare un elastico di varia resistenza attorno alle ginocchia.

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11. Dalla posizione di partenza, come nella foto a sinistra, sollevo il bacino da terra. Nelle fasi più avanzate posso tenere la posizione per alcuni secondi.

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12. Dalla posizione supina a ginocchia flesse sollevo il sedere dal pavimento e tengo la posizione per pochi secondi.

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Nelle fasi più avanzate, dopo aver sollevato il sedere, stacco un piede da terra

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13. Dalla posizione quadrupedica allungo un braccio in avanti e la gamba opposta indietro tenendo per qualche secondo la posizione.

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Non dimentichiamo lo stretching

Come ogni buona sequenza di esercizi si conclude con una parte di stretching per migliorare l’elasticità dei muscoli e la mobilità articolare.

 

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BIBLIOGRAFIA:
• Treinamento do core anatomia ilustrada – A. Ellsworth – Manole
• The Hip and Pelvis in Sports Medicine and Primary Care – P. Seidenberg, J. Bowen – Springer, 2010

La patologia dell’impingement femoro-acetabolare (FAI), oggi considerata la causa principale di artrosi secondaria, è stata descritta per la prima volta nel 1992.

L’impingement

Con il termine impingement si definisce una condizione in cui si crea un “conflitto” tra strutture anatomiche a ridosso di un’articolazione, questo può avvenire durante un movimento semplice o forzato.

Inpingement_femoro_acetabolare_01Il FAI si crea per un anomalo contatto tra la base della testa del femore ed il bordo dell’acetabolo.

L’articolazione dell’anca è formata dalla testa del femore che si articola con una cavità dell’osso iliaco del bacino detta acetabolo.

Tra la testa del femore e l’acetabolo si interpone una struttura fibrocartilaginea detta labbro acetabolare.

Due forme principali di FAI sono state descritte:

  • PINCER: il bordo acetabolare è più sporgente. Ciò provoca un conflitto tra la base della testa del femore ed il bordo dell’acetabolo tale da produrre una lesione del labbro acetabolare, calcificazioni, osteoartrite degenerativa. Più comune nelle donne adulte (età media 40anni, rapporto 3:1 con i maschi).
  • CAM: deformità della base della testa del femore che perde la sua forma sferica normale. Essa fisiologicamente si restringe gradualmente verso il collo assumendo la forma di una lampadina, proprio per ridurre il contatto tra i capi ossei. La “sporgenza” che si viene a creare collide con il bordo acetabolare e la cartilagine articolare. Più comune negli uomini giovani (età media 32 anni, rapporto 14:1 con le donne)

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Spesso è comune avere entrambe le forme, avremo quindi una condizione di FAI misto.

Una grossa percentuale di pazienti asintomatici, di solito di giovane età, presentano i segni radiologici di un FAI, che si può manifestare in età adulta, non manifestarsi mai, o esordire direttamente con i sintomi e i segni di degenerazione articolare in età adulta.

I pazienti con FAI sintomatico presentano dolore all’anca o all’inguine che esordisce in maniera subdola (raramente acuta), aggravato dall’attività fisica o da funzioni quotidiane (mettersi le scarpe o i calzini) che prevedono una forzata flessione della coscia sul tronco, questo movimento risulterà il più doloroso insieme alle rotazioni del femore verso l’interno.

Nel tempo si verifica una netta riduzione dell’articolarità.

Altre situazioni che scatenano il dolore sono il rialzarsi dopo essere stati seduti a lungo, così come salire le scale o camminare in salita.

Scrosci articolari sono udibili se sono presenti lesioni al labbro, calcificazioni o degenerazioni cartilaginee.

Inpingement_femoro_acetabolare_03Le lesioni a carico del labbro acetabolare sono molto frequenti nei danzatori, nei calciatori, nei tennisti, in chi pratica arti marziali e nei golfisti a causa della ripetitività del gesto atletico. La fascia di età media in cui si presenta tale lesione è di circa 40 anni.

Esiste una condizione di impingement funzionale nella quale non risultano malformazioni ossee, né della testa del femore né dell’acetabolo.

In questo caso durante il movimento di flessione estrema (la gamba che si avvicina al tronco) il femore che dovrebbe scivolare leggermente indietro non compie tale movimento e si crea un conflitto anteriore tra il femore stesso, la capsula articolare ed il bordo dell’articolazione.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte a pazienti giovani di solito corridori o danzatori.

Lo squilibrio muscolare, in particolare la perdita di forza del medio gluteo, non riesce a proteggere l’articolazione da eventuali disfunzioni che possono generare un conflitto articolare.

È importante riconoscere precocemente tali disfunzioni per evitare problemi articolari degenerativi.

L’esame clinico e funzionale in un FAI prevede:

  • Valutazione della completa articolarità dell’anca.
  • Valutazione dell’articolarità del ginocchio, del bacino e della colonna per escludere patologie concomitanti.
  • Valutazione della deambulazione.
  • Valutazione della forza muscolare selettiva per ogni muscolo o di gruppi muscolari sinergici.

Specifici segni e test ci permettono di accertare la presenza o meno del FAI:

  • Segno di Trendelenburg
  • Faber test
  • Faddir test (anteriori hip impingement test)
  • Posterior impingement test

La diagnosi e il trattamento

La diagnosi si avvale di esami diagnostici standard, la RX (con immagini assiali oblique parallele al collo femorale) è utile per le deformazioni ossee, la RM  per i danni alle strutture molli come le lesioni del labbro acetabolare.

Il trattamento conservativo, soprattutto nei pazienti giovani, è la prima cosa da fare nei casi di FAI.

Il supporto con farmaci antinfiammatori può essere utile nei periodi di acuzie del dolore.

La terapia manuale è utilissima per ridurre tutte le tensioni tessutali presenti ed assicurare una corretta mobilità articolare proprio per evitare il conflitto. Inoltre normalizza tutte le disfunzioni che alterano la posizione reciproca dei capi articolari.

Si procede con una serie di esercizi che mirano ad un corretto equilibrio muscolare e alla stabilità del core (tronco), del bacino e dell’anca, associando stretching dei gruppi muscolari troppo forti e accorciati.

È fondamentale una corretta attivazione dei glutei che ci permette di ridurre il carico sul labbro acetabolare e ridurre l’impingement.

I pazienti con FAI di solito hanno dei movimenti ben specifici che creano dolore, è utile quindi consigliare la giusta attività fisica che riduca il più possibile la possibilità di ricreare il movimento che genera l’impingement.

La chirurgia

Inpingement_femoro_acetabolare_04Se il trattamento conservativo non da buoni risultati il trattamento chirurgico è consigliabile.

Questo ha lo scopo di ripristinare la normale anatomia dell’articolazione, correggere le eventuali lesioni del labbro ed eliminare le calcificazioni.

Prevede di solito un accesso artroscopico.

Il trattamento riabilitativo post-chirurgico deve essere mirato e specifico, possibilmente in prima battuta concordato con il chirurgo per stabilire i tempi di recupero in base alla tipologia di intervento e definire i tempi per ripristinare il carico articolare.

 


Vi invito alla lettura di un altro articolo, nel quale vi illustro quali sono gli esercizi da seguire in autonomia utili sia per la prevenzione sia per il trattamento delle problematiche di anca.