Tra le cefalee, la condizione sicuramente più diffusa è la cefalea miotensiva.

Oltre ad essere la cefalea per la quale le persone si rivolgono maggiormente alla medicina di urgenza, è anche la cefalea per la quale i pazienti entrano nei nostri studi.

Le cefalee appartengon a quel gruppo di patologie definite “algie cranio- facciali”,  che possono avere una causa organica o indipendente dall’organo (stati depressivi, isteria ecc.).

Come si manifesta?

Questa si manifesta con dolore permanente o semipermanente, accentuato al mattino può attenuarsi durante la giornata ma non scompare mai del tutto.

Cefalea miotensiva 01Il dolore si irradia sulla fronte, alla nuca e/o alla zona cervicale, a volte si presenta come  “un cerchio alla  testa” o “un casco”, il paziente di solito percepisce la sensazione dolorosa come superficiale.

Tutte le azioni che aumentano la pressione all’interno del cranio, come tosse o starnuti, non accentuano il dolore, che però può essere stimolato durante le attività attentive (lavori di concentrazione, lettura ecc).

La pressione su alcune aree muscolari stimola il dolore, di solito sono punti parietali (ai lati della testa), sulla zona cervicale, alla nuca, sui muscoli della masticazione (attorno alla mandibola o sulle tempie).

Alla base di tale disturbo riconosciamo fattori genetici, comportamentali e ambientali.

È condivisa l’ipotesi che la cefalea miotensiva abbia origini periferiche (che non hanno una causa che riguarda il cranio).

Di solito sono coinvolte le prime vertebre cervicali e i muscoli che vi originano e che vengono sottoposti a contrazioni anomale (contratture, spasmi ecc.).

Le cause

La ricerca delle cause primarie o delle concause è alla base di una buona gestione di tale disturbo.

Cefalea miotensiva 02Tra i sistemi coinvolti avremo:

  • Anomalie anatomiche o funzionali delle vertebre cervicali alte
  • Artrosi cervicale
  • Tensioni muscolari anomale di tutto il tratto cervicale e della zona dorsale alta e media.
  • Squilibri posturali
  • Problemi all’articolazione temporo-mandibolare
  • Presenza di trigger points attivi (punti dolorosi muscolari che irradiano il dolore a distanza)
  • Disturbi della visione
  • Infiammazione delle cavità paranasali
  • Stress
  • Fattori psicosomatici

Numerosi lavori associano la perdita dei normali movimenti della colonna cervicale ai pazienti che soffrono di cefalea miotensiva, la meccanica intrinseca del rachide cervicale, come abbiamo visto, è tra le cause possibili.

Sono molti gli studi che associano le cefalee miotensive ad una riduzione della normale curva cervicale e ad un’estensione delle vertebre cervicali alte, con l’atteggiamento di portare il capo in vanti.

La conoscenza della biomeccanica del rachide ci fa pensare immediatamente ad una implicazione necessaria delle vertebre toraciche alte.

Vertebre che, in questo caso, perdono la loro normale capacità di movimento e creano dei compensi verso l’alto, oltre ad un aumento della cifosi dorsale.

La zona anteriore del collo sarà necessariamente da considerare, per verificare un eventuale tensione dei muscoli e delle fasce, soprattutto per l’importanza che hanno nella gestione del meccanismo respiratorio e tutto ciò che concerne il movimento del torace alto.

Gli studi sono concordi sul fatto che il miglioramento della mobilità della colonna cervicale e la riduzione della tensione dei muscoli coinvolti riduce drasticamente l’uso di farmaci da parte dei pazienti.

La tensione dei muscoli cervicali, dorsali e craniali spesso è alimentata dalla frequenza e dalla intensità degli attacchi, questo a sua volta non fa che rinforzare il circolo vizioso tra tensione/dolore.

La contrattura dei muscoli della è strettamente legato all’aumento della frequenza e dell’intensità degli attacchi.

La diagnosi

Trattandosi di problematiche che possono avere varie cause ed avendo una serie di sintomi comuni ad altre patologie, la corretta valutazione è necessaria soprattutto per capire se rientra nella competenza del fisioterapista/osteopata.

Molto spesso buoni esami diagnostici sono necessari.

L’utilizzo di test clinici appropriati ci permette di localizzare le zone anatomiche coinvolte le varie disfunzioni articolari e tessutali.

La terapia

La terapia manuale diventa di fondamentale importanza nella gestione di tali condizioni patologiche.

Ridurre le tensioni muscolari e migliorare il movimento dei distretti vertebrali coinvolti ci permette di raggiungere ottimi risultati nel minor tempo possibile migliorando sicuramente la qualità della vita dei pazienti.

 …e come gestirli stando a casa.

In questo periodo in cui siamo costretti a stare in casa a causa del diffondersi del “corona virus” è frequente il risvegliarsi di vecchi dolori all’apparato muscolo-scheletrico o alla sopraggiunta di nuovi.

L’immobilità, la preoccupazione per noi e per i nostri cari, la perdita delle normali abitudini quotidiane (comprese quelle alimentari e del ritmo sonno-veglia) possono essere fonte di problematiche a carico dell’apparato muscolare e scheletrico.

I motivi che ritroviamo all’origine di tali disturbi si spiegano andando a rivedere quali sono le funzioni fisiologiche che regolano tali fenomeni.

L’aumento del tono muscolare è una delle cause principali di dolore muscolo-scheletrico, spesso associata a problematiche relative alle articolazioni come le disfunzioni vertebrali.

Quando parliamo di aumento del tono muscolare si intende quella situazione per la quale le fibre muscolari tendono ad essere più corte rispetto alla loro condizione basale di normalità, questa se protratta nel tempo diminuisce l’efficacia stessa del muscolo rendendo la sua funzione insufficiente.

La continua stimolazione delle fibre muscolari creerà un’eccitazione delle fibre nervose che cominceranno ad inviare segnali nocicettivi (dolorosi).

Janda descrive cinque tipi differenti di aumento del tono muscolare:

  • Disfunzione limbica
  • Spasmo segmentale
  • Spasmo riflesso
  • Trigger points
  • Tensione muscolare

In questo articolo tratterò quella che si definisce DISFUNZIONE LIMBICA che sta alla base dei dolori psicosomatici.

Parlare di psicosomatica in poche righe è pressoché impossibile, cercherò di essere il più schematico possibile per rendere più fruibile al lettore la comprensione dello scopo dell’articolo.

Il SISTEMA LIMBICO è quella struttura anatomica che si trova alla base del cervello (nella zona detta tronco encefalico) e che regola i nostri comportamenti, soprattutto quelli automatici.

Dolori_muscolo_scheletrici_01

Nello specifico il sistema limbico, grazie all’ipotalamo, ha un ruolo centrale nel controllo di quelle funzioni autonome che regolano l’omeostasi (equilibrio) dell’organismo.

Tra queste c’è la regolazione della temperatura corporea, della pressione arteriosa, del bilancio idrico, del peso, del meccanismo fame/sete.

Dolori_muscolo_scheletrici_02Il tronco dell’encefalo comunica costantemente con la corteccia cerebrale grazie ad una serie di neurotrasmettitori e di ormoni che fungono da messaggeri.

Tra questi la SEROTONINA è quell’ormone che modula la sensazione del dolore, ovvero inibisce (quindi crea un ostacolo) la sensibilità dolorosa.

L’aumento dello stress provoca una minor produzione di serotonina quindi diminuiscono le barriere che bloccano la sensazione dolorosa (abbassando la soglia), inoltre l’attivazione dell’ipotalamo crea una serie di eventi a catena che coinvolgono numerosi organi e sistemi, tra i quali il sistema ormonale o l’apparato gastrointestinale.

A conferma di ciò i disturbi psicosomatici vanno dalla cefalea alla gastrite, dalla cervicalgia alla dermatite, dal dolore cronico alla stanchezza cronica e così via.

Se ci soffermiamo su quello che succede a livello muscolo-scheletrico, vediamo che la condizione psicologica indotta dallo stress crea un’attivazione ormonale che a sua volta aumenta il tono basale dei muscoli e in qualche modo modifica anche i nostri atteggiamenti posturali.

Se lo stress persiste si capisce come questo possa dar luogo a condizioni di tensione costante.

Spesso ad essere coinvolta è la zona cervico-dorsale, ma se il soggetto tende a soffrire di lombalgia o dolori in altri distretti corporei, la reazione psicosomatica non farà atro che aumentare o scatenare quel sintomo.

Dolori_muscolo_scheletrici_03

Il ruolo del fisioterapista/osteopata in questi casi è quello di agire sulle concause dello stress ed intervenire su fattori come dolore o tensione muscolare che possono alimentare il circolo vizioso.

In questo periodo in cui restare a casa è l’indicazione imprescindibile  a cui attenersi ci sono diverse cose che si possono fare per aumentare i livelli di serotonina e quindi diminuire lo stress:

  • Attività fisica: l’attività fisica richiama subito alla mente “lo stare all’aria aperta”, non è detto che un programma di esercizi quotidiani a basso o alto impatto, in base alle proprie possibilità, non si possa fare in ambito casalingo o, per chi ha la fortuna di averlo, su un terrazzo o in giardino.
  • Stretching: affiancare all’attività fisica anche esercizi di allungamento o esercizi posturali che si possono concordare con il fisioterapista anche a distanza (magari telefonicamente).
  • Controllare lo stress: il pensiero positivo è alla base del controllo dello stress, un piccolo aiuto lo possiamo trovare nell’utilizzo di esercizi di respirazione o per chi è abituato nella meditazione. È possibile reperire tali sequenze sulle più comuni piattaforme video sul web. https://www.youtube.com/results?search_query=esercizi+respirazione+rilassamento (qui trovate degli esempi).
  • Mangiare bene: la corretta alimentazione e la riduzione delle bevande alcoliche e troppo zuccherine influisce positivamente sul sistema limbico e ormonale.
  • Stare al sole: passare più tempo possibile esposti al sole aumenta i livelli di vitamina D che favorisce la secrezione di serotonina.
  • Ascoltare la musica: tenere in sottofondo della buona musica (o comunque la propria musica preferita) durante le normali attività quotidiane come farsi la doccia, occuparsi delle faccende domestiche o semplicemente stando a riposo, è un ottimo rimedio contro lo stress e i pensieri negativi.

Questa pochi consigli vogliono essere un semplice aiuto in questi periodi difficili, ma possono essere di aiuto anche quando si tornerà alla normale vita quotidiana.

 

 

 

 

La borsite trocanterica si manifesta con un dolore sulla zona trocanterica (parte esterna dell’anca dove il femore è più sporgente).

E’ una manifestazione sintomatologica molto frequente tra i pazienti di tutte le età.


Diagnosi

La diagnosi più comune è di borsite trocanterica, ma in realtà le cause possono essere varie e non necessariamente hanno a che fare con l’infiammazione della borsa sierosa.

Borsite trocanterica 01Nel corpo le borse sierose servono per ridurre la frizione tra l’osso e i tendini dei muscoli che vi scorrono vicino.

Anatomicamente sono presenti 3/4 borse attorno al grande trocantere che permettono ai tendini del medio e piccolo gluteo, del tensore della fascia la lata di scorrere senza attrito.

La borsite per essere tale deve presentarsi come una infiammazione della borsa sierosa che si trova vicino l’articolazione e che provoca dolore e rigonfiamento della borsa stessa.

Il dolore è intenso, non necessariamente legato al movimento, si irradia sulla parte laterale della coscia e alla palpazione spesso si nota un rigonfiamento evidente della zona (con possibile aumento di calore della cute).

La borsite in fase acuta può essere causata da traumi diretti o da infiammazioni sistemiche (presenza di patologie reumatiche).

Se le cause sono degenerative o da sovraccarico, la borsite è preceduta da condizioni patologiche a carico dei tendini dei muscoli che vi passano sopra come il medio gluteo, il grande gluteo o il tensore della fascia lata.

Queste condizioni di tendinosi possono essere riconosciute precocemente perché presentano segni e sintomi specifici.

Cause

Le cause possibili della borsite trocanterica sono la ripetitiva frizione tra il grande trocantere e il complesso tendineo data da carichi o sovraccarichi prolungati sulle strutture interessate (corsa su superfici inclinate), traumi, pattern motori alterati (relativi allo schema passo), squilibrio tra i muscoli abduttori (esterni) e adduttori (interni), dismetria anatomica degli arti inferiori.

È il più comune problema extracapsulare dell’anca e la principale causa di dolore laterale.

Il dolore è locale e spesso percepito in profondità, particolarmente se il soggetto dorme su quel lato, quando si alza dalla sedia, quando sale le scale o entra ed esce dall’auto, si può irradiare sulla zona laterale della coscia  fino al ginocchio.

Anche in questo caso la diagnosi differenziale è importantissima nella presa in carico del paziente. Le patologie che possono generare un dolore in zona laterale de femore possono essere:

  • Sindrome delle branche perforanti, ovvero una nevralgia delle branche nervose che partono dall’ultima vertebra dorsale.
  • Sciatica L4/L5
  • Anca a scatto
  • Presenza di trigger points (punti dolorosi che se stimolati irradiano il dolore a distanza) sui muscoli glutei o sul tensore della fascia lata possono mimare una sintomatologia simile.

Inoltre vanno considerate eventuali cause che non riguardano l’apparato muscolo-scheletrico e che possono generare dolore alle anche:

  • Problemi gastrointestinali
  • Problemi prostatici o ginecologici
  • Infezioni
  • Problemi vascolari
  • Neoplasie

Test:

  • Ober test
  • Faber
  • Faddir
  • Non netta la limitazione articolare

Segni:

  • Trendelenburg
  • Nei casi di borsite, dolore alla palpazione
  • Dolore all’abduzione (portare l’arto in fuori)
  • Dolore alla flessione forzata dell’anca
  • Antiversione del femore
  • Crepitii e schiocchi articolari in flesso-estensione (occasionalmente)

Diagnosi per immagini per la borsite trocanterica

La diagnosi per immagine si avvale della risonanza magnetica.

Si riscontra spesso assottigliamento dei tendini del piccolo o del medio gluteo in associazione a tendinosi degli adduttori.

Nel caso di borsite trocanterica è possibile apprezzare una tumefazione ed un edema in corrispondenza della borsa.

Tendinosi del medio gluteo

Tendinosi del medio gluteo

Borsite trocanterica 03

Borsite

Con una RX a volte può essere evidente uno sperone calcifico sul grande trocantere che non è causa di dolore ma è segno di tensione anomala sulla giunzione tendine/osso.

Borsite trocanterica 04Trattamento

Il trattamento deve essere basato sui fattori causali.

Vanno considerate tutte eventuali disfunzioni che possono coinvolgere l’articolazione dell’anca e le articolazioni a lei correlate meccanicamente (ginocchio, bacino/colonna), spesso si associa lombalgia cronica.

È di strategica importanza il lavoro su ogni singolo muscolo e sulle catene muscolari lunghe per ripristinare una corretta funzione specifica. Non ultimo, va fatto un lavoro preciso sulla propriocezione dell’arto inferiore.

Le eventuali problematiche disfunzionali viscerali che coinvolgono l’apparato gastrointestinale, quello ginecologico o la prostata, vanno normalizzate per neutralizzare le fonti di dolore riferito.

L’utilizzo di alcuni esercizi molto semplici che il paziente potrà fare a domicilio o dei suggerimenti su come può modificare alcune abitudini relative all’attività fisica renderanno il nostro intervento più efficace sul lungo periodo.

Nei casi di borsite trocanterica resistente ai trattamenti fisioterapici e manuali l’iniezione con steroidi e anestetico per ridurre l’infiammazione e il dolore può essere di aiuto.

Questa seconda parte segue il primo articolo dedicato al dolore in cui abbiamo elencato in maniera molto schematica le tipologie di dolore con cui di solito abbiamo a che fare nella nostra pratica quotidiana, ma che rappresentano solo una parte di quelle descritte.

In queste righe vorrei invece parlare di terminologia del dolore, quindi andremo a definire meglio (e a dare un nome) alla sensazione che avverte il paziente e per la quale si rivolge noi.

Allodinia

Percezione di dolore rispetto ad uno stimolo che di solito non è nocicettivo (quindi non provoca dolore).

È una “falsa” percezione da parte del paziente in situazioni in cui non c’è motivo che possa giustificare lo stimolo doloroso (danno tessutale, infiammazioni, presenza di stati patologici ecc. ecc.).

Analgesia

Assenza completa di dolore nonostante vi sia uno stimolo che certamente può causarlo.

Anestesia

Mancanza di sensibilità, ovvero non c’è percezione rispetto a stimoli come calore, tatto ecc.

Ovviamente anche la percezione del dolore è assente. In alcuni casi l’anestesia può provocare dolore, di solito riferito solo a zone circoscritte.

dolore_2_01Dolore non nocicettivo

Caratterizzato dall’assenza di eccitazione dei nocicettori, situazione comune ai dolori di origine psichica.

Dolore disnocicettivo

Caratterizzato dall’assenza della zona anatomica che può generare dolore.

È il dolore causato dall’amputazione di un arto, in cui non è presente perifericamente il recettore del dolore ma il messaggio comunque viaggia sulle vie neuronali e viene elaborato dai centri nervosi.

È il dolore che si manifesta nella così detta “sindrome dell’arto fantasma”.

Dolore in sede di elezione

È il dolore irradiato dai visceri su determinate zone anatomiche superficiali (zone cutanee).

Dolore in sede epicritica

Dolore viscerale riferito sulla zona del viscere implicato o al massimo sulle zone subito adiacenti.

dolore_2_02Parestesia

È il fastidio riferito sulla zona di competenza di un nervo periferico. Descritta come formicolio, scosse elettriche, punture di spillo o torpore da parte del paziente, mai dolorosa.

Disestesia

Fastidio, raramente dolore vero, ma percepito dal paziente come strano, anomalo, difficile da descrivere, mai percepito prima, esula dalle definizioni date per le parestesie.

Ipoalgesia

Risposta diminuita ad uno stimolo doloroso, sono i pazienti che hanno veramente la soglia del dolore più alta.

Iperalgesia

Percezione di dolore importante rispetto ad uno stimolo doloroso normale.

Allochiaria

Percezione del dolore sia su una zona coerente (dove è normale percepirlo) sia su zone dove non si dovrebbe percepire.

Fonte: International Association For Study Of Pain

Il dolore è sicuramente il motivo per cui il paziente si rivolge alle nostre cure e il nostro obiettivo, essendo professionisti della salute, è quello di alleviare il dolore stesso.

Questo processo deve necessariamente avvenire attraverso l’interpretazione di quello che ci troviamo di fronte, mi riferisco non solo ai sintomi ma a tutti quegli elementi che partecipano alla percezione del dolore da parte del paziente e la condizionano.

Facilitare il paziente nel descrivere il dolore che prova facilita la nostra comprensione delle sue esigenze, inoltre ci permette di renderlo partecipe del processo di recupero, aumentando la sua conoscenza rispetto alla sua patologia.

Non è mia intenzione descrivere le condizioni fisiologiche/fisiopatologiche che generano il dolore, men che meno i processi che ci sono a monte. In letteratura ci sono riferimenti molto più autorevoli da consultare.

Queste poche righe più che aiutare il professionista, possono essere utili per i pazienti affinchè abbiano più coscienza del sintomo per il quale cercano una soluzione, in modo che indirettamente sia utile per noi professionisti la gestione del piano terapeutico.

Le fonti possibili di dolore possono essere le più svariate. Più complicato se ci troviamo di fronte a delle sindromi, quindi con un corredo sintomatologico più ampio e disparato.

Il dolore è una “complessa esperienza sensoriale” percepita come spiacevole, la sua complessità scatena nel paziente una serie di reazione che la fanno diventare la “percezione” di una “emozione”.

Per orientarci iniziamo con capire di che tipologia è il dolore.

Dolore muscolare

Il dolore muscolare può avere diverse cause in base al comportamento del muscolo in quel momento o ad un eventuale trauma diretto o indiretto.

Dolore_01Ha come caratteristica quella di insorgere quando si chiede al muscolo di svolgere la sua funzione, cioè contrarsi per creare movimento, con le dovute eccezioni. Escludiamo in questa descrizione le lesioni muscolari che hanno una clinica precisa e vengono diagnosticate spesso con esami diagnostici.

I muscoli possono generare dolore perché aumentano il loro stato di contrazione basale a causa di sovraccarico funzionale.

Il sovraccarico non sempre è il carico eccessivo sollevato per una volta, in questo caso parleremo di spasmo muscolare che è di carattere più acuto e improvviso, ma rappresenta anche la sollecitazione leggera (o leggerissima) a cui il soggetto è sottoposto ripetutamente.

Pensiamo per esempio alle posizioni lavorative, in questo caso parleremo di muscolo teso, il dolore è meno acuto ma più presente e più cronico.

Sui ventri muscolari spesso si generano zone circoscritte di dolore puntiforme con la formazione dei così detti tender points, diversi per definizione dai trigger points, che sono altrettanto circoscritti ma se stimolati irradiano il dolore a distanza attraverso il tessuto mio-fasciale.

Il dolore muscolare che invece passa con il movimento, e un dolore da insufficienza del tessuto muscolare (caratteristico per esempio negli anziani), in questo caso l’attività fisica ed il movimento stesso sono necessari.

Dolore articolare

Il dolore causato da problemi articolari ha la caratteristica di migliorare al riposo e di aumentare con l’attività (sollecitazione dell’articolazione coinvolta).  Ha insorgenza improvvisa ed è ben localizzabile, non da rigidità nei movimenti.

Dolore_02Dato che il dolore articolare può essere causato da patologie sistemiche bisogna stare sempre attenti alle sue caratteristiche. Se colpisce una o più articolazioni (di solito bilaterali e contemporaneamente) e se c’è presenza di alterazioni anatomiche articolari si può pensare a patologie reumatiche e/o infiammatorie acute. Alcuni tumori possono dare un forte dolore articolare notturno.

Dolore irradiato

È un dolore che si irradia, quindi si sposta, su un territorio diffuso e a volte distate dal punto di origine del dolore stesso. In questo caso la risposta al riposo o al movimento può essere variabile rispetto al tessuto o organo coinvolto.

  • Dolore_03Irradiazione neurologica segmentaria: il dolore si diffonde sul territori ben definiti di competenza dei nervi periferici. Può essere coinvolta la radice del nervo all’uscita dalla colonna vertebrale, definito dolore radicolare che si diffonde su tutto il territorio del nervo stesso. Se invece il nervo è coinvolto nel suo percorso avremo un dolore tronculare, e si irradia dal punto implicato verso la periferia.
  • Dolore_04Irradiazione neurologica non segmentaria: il dolore si diffonde attraverso il sistema nervoso ma nella sua parte autonoma, detta sistema nervoso neurovegetativo. Per caratteristiche anatomiche e fisiologiche questo sistema è intimamente coinvolto con la colonna vertebrale e veicola il messaggio doloroso che proviene per esempio dai visceri. L’irradiazione del dolore viscerale segue delle direzioni ben definite sui tessuti e genera il dolore riferito, che meriterebbe una descrizione a parte per la sua importanza e complessità.

Questo mio articolo non pretende di essere esaustivo data a complessità dell’argomento, vuole essere semplicemente un richiamo a delle nozioni elementari che possono essere di grande aiuto soprattutto per i pazienti.

Vi rimando alla lettura della seconda parte dove affronteremo la terminologia del dolore.

La sindrome del piriforme è una condizione patologica che colpisce la parte posteriore dell’anca dove c’è il passaggio de nervo sciatico.

Si manifesta con una contrattura del muscolo piriforme per cause irritative date da scompensi e squilibri muscolari di solito da sovraccarico funzionale.

Contraendosi, il muscolo piriforme comprime il tronco del nervo sciatico che gli passa vicino e questo causerà una irritazione più o meno costante del nervo stesso.

Sindrome_piriforme_01La sintomatologia è caratteristica, con dolore che dal gluteo arriva fino al cavo popliteo (parte posteriore del ginocchio), dolore che aumenta durante il movimento, quindi quando il muscolo si attiva o se si comprime la zona stando seduti o per la presenza del portamonete.

È evidente una limitazione articolare dell’anca ai test articolari, mentre tutti i test neurologici possono essere negativi rispetto ad un interessamento del nervo alla radice, quindi alla sua uscita dalla colonna vertebrale.

È una sindrome abbastanza facile da diagnosticare e spesso altrettanto facile da curare con le tecniche manuali e l’esercizio fisico.

Il problema spesso nasce nel momento in cui non viene riconosciuta o non si fa una buona valutazione diagnostica differenziale.

L’approccio al paziente in prima seduta è la parte più importante di tutto il percorso terapeutico.

Le giuste domande da porre e l’approfondita ricerca dei dettagli che possono fare la differenza è alla base di un buon esame anamnestico (raccolta delle informazioni del paziente).

Come nel caso di Chiara (nome di fantasia) che da mesi soffre di un dolore che dal gluteo arriva fino alla parte posteriore del ginocchio.

Le è stata diagnosticata una sindrome del piriforme e le sono stati prescritti esercizi di allungamento e mobilizzazione dell’anca.

Sindrome_piriforme_02Dopo qualche settimana il dolore non sembra migliorare e Chiara decide di fare una risonanza magnetica (RM) che mette in evidenza una serie di problematiche relative alla colonna lombare, tra cui discopatie e processi degenerativi sia articolari che dei piatti vertebrali.

Quindi il percorso continua con l’uso di un bustino contenitivo ed esercizi posturali.

Passano altre due settimane e Chiara non migliora.

Quando arriva nel mio studio io le chiedo di descrivermi i sintomi e lei mi racconta che il suo dolore è presente soprattutto quando sta ferma, migliora quando si muove e peggiora decisamente di notte, tanto da farla svegliare.

Queste informazioni rappresentano già dei campanelli d’allarme che mi fanno pensare che non ci sia di fondo un motivo muscolare e/o articolare all’origine del dolore.

Guardando la risonanza e leggendo il referto i miei dubbi si chiariscono perché c’è ben specificata la presenza di problemi ginecologici particolarmente sull’endometrio (tessuto che compone l’utero), due cisti di circa 25 mm sull’ovaio sinistro e presenza di essudato (liquido infiammatorio extravascolare).

Alle mie domande, se avesse il ciclo irregolare e/o doloroso (dismenorrea) e dolori durante i rapporti sessuali (dispareunia) la risposta di Chiara è stata affermativa.

A questo punto i test articolari o muscolari sono superflui, il mio consiglio è quello di andare a farsi visitare dallo/a specialista ginecologo/a, perché l’origine del dolore di Chiara è sicuramente di natura viscerale.

Spesso problemi ginecologici si manifestano con sintomi su altre zone come la zona lombo-sacrale o il bacino e fin qui è facile capire la relazione di vicinanza con gli organi, ma non di rado, per motivi di natura anatomico-funzionale che coinvolgono i nervi, i vasi sanguigni, i muscoli e le fasce, i problemi ginecologici si irradiano sulle anche e sulle ginocchia.

Una volta escluse patologie organiche che necessitano dell’intervento dello specialista, il trattamento manuale spesso è molto efficace in questi casi e deve prevedere, ovviamente, un buon lavoro viscerale insieme a quello articolare, muscolare e fasciale.

La corretta diagnosi differenziale, la valutazione dei sintomi che ci riferiscono i pazienti e la “gestione” delle informazioni che ricaviamo durante l’anamnesi ci permettono sempre di fare il meglio per la loro salute.

La cisti poplitea o cisti di Baker è un rigonfiamento, si presenta come una massa, nella parte posteriore o postero-mediale del ginocchio che può avere varie dimensioni.

Il liquido (edema) in esubero che si forma nell’articolazione del ginocchio penetra attraverso i piani muscolari posteriori (di solito tra  i muscoli gastrocnemio mediale e semimembranoso) del ginocchio senza poter rientrare, creando una sacca di raccolta del liquido stesso che forma la cisti.

CISTI_BAKER_01All’interno di ogni articolazione le due ossa che vengono a contatto (capi articolari), sono ricoperte di cartilagine che serve a salvaguardare la struttura dell’osso diminuendo l’attrito e migliora il movimento reciproco.

La cartilagine non è raggiunta da vasi sanguigni a viene nutrita grazie alla presenza di un velo che la ricopre chiamato membrana sinoviale (bagnata appunto dal liquido sinoviale).

Questa oltre ad avere capacità nutritive diminuisce ulteriormente l’attrito lubrificando l’articolazione. La membrana sinoviale può essere interessata da problemi infiammatori (intra-articolari e non) e per reazione aumenta la secrezione di liquido sinoviale creando un edema che è causa del gonfiore.

La cisti di Baker non è sintomatica (se le dimensioni non sono importanti), il paziente riferisce solo la presenza di una massa soprattutto quando piega molto il ginocchio.

Se le dimensioni dovessero essere eccessive si può avvertire un lieve dolore che si irradia al polpaccio. Spesso i pazienti si rivolgono allo specialista o al fisioterapista non per il dolore ma perché spaventai dalla presenza della massa.

L’aumento del liquido all’interno dell’articolazione è sempre causato da patologie intrarticolari.

CISTI_BAKER_02La condizione che più frequentemente si associa alla presenza di cisti poplitee è la lesione dei menischi, poi abbiamo la rottura del legamento crociato anteriore, ma altre condizioni patologiche possono giustificarne la presenza come le patologie reumatiche, infezioni, patologie sistemiche (che coinvolgono più sistemi dell’organismo) e non per ultima l’artrosi.

La presenza di cisti di Baker aumenta con l’aumentare dell’età proprio perché è maggiore l’incidenza di problematiche degenerative articolari. L’assottigliamento della capsula articolare, ovvero il manicotto legamentoso che circonda l’articolazione, con l’età tende ad assottigliarsi e questi rende più frequente la formazione della cisti.

Raramente la citi si rompe generando un dolore acuto nella zona postero mediale del ginocchio o al polpaccio per effetto della distensione dei tessuti sottocutanei data dalla presenza del liquido fuoriuscito. In questo caso la diagnosi differenziale con una eventuale trombo-flebite è necessaria (consigliare un eco-doppler).

CISTI_BAKER_03L’esame da consigliare quando abbiamo la presenza di una cisti di Baker è la risonanza magnetica, in questo modo abbiamo la possibilità di capire quale patologia intrarticolare possa essere la causa, quantificare la grandezza della cisti e soprattutto fare una corretta diagnosi differenziale con problemi quali la borsite del semimembranoso, cisti meniscali, masse solide di origine tumorale.

Anche l’esame ecografico è consigliabile ma si limita a definire l’entità della cisti e non ci dà informazioni relative allo stato dell’articolazione.

La cisti di Baker può regredire spontaneamente. Non esiste un trattamento specifico per questa problematica.

Il trattamento conservativo è possibile attraverso tecniche manuali volte a migliorare le tensioni o i sovraccarichi muscolari e quindi la mobilità articolare, favorire il drenaggio dei liquidi e del sangue verso il tronco, ridurre l’impatto delle eventuali patologie intra-articolari.

In alternativa il chirurgo può optare per l’aspirazione del liquido all’interno della cisti o per l’intervento se la causa è data da una patologia severa dell’articolazione.