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Mouse shoulder (o spalla dell’impiegato)  è il termine anglosassone per descrivere una serie di disturbi specifici a carico del cingolo scapolare (spalla/scapola) e del collo, che colpiscono le persone che utilizzano il computer per molte ore al giorno.

spalla_impiegato_01Oltre ad essere una condizione che peggiora la qualità di vita dell’individuo ha una ricaduta importante sui costi sociali legati alle ore di assenza dal lavoro e ai costi relativi alla spesa sanitaria (negli Stati Uniti si stima che questo ha una ricaduta economica di circa 50 miliardi di dollari l’anno).

Le cause

Di solito è un dolore che colpisce un lato del collo e si irradia sulla spalla e può arrivare alla mano, è descritto come un bruciore o un dolore profondo. Senza i dovuti accorgimenti può durare per settimane o mesi e se cronicizza  basta un’ora circa di uso del computer (del mouse) per scatenare la sintomatologia.

Il cingolo scapolare è una zona che oggi è esposta a problematiche frequenti, dovute a fattori ambientali, posturali, da sovraccarico o traumi. È una struttura che riveste un importante significato sia funzionale sia comportamentale e di relazione con l’ambiente che ci circonda.

A proposito del rapporto funzionale tra spalla e rachide cervicale abbiamo una serie di relazioni che legano queste due zone anatomiche:

  • Meccanica: la spalla si articola con la zona toracica attraverso la clavicola ed è “sospesa” al collo attraverso numerosi muscoli e fasce.
  • Neurologica: il plesso cervicale e quello brachiale sono dei “gruppi” di nervi che fuoriescono dalle vertebre cervicali e arrivano ad innervare numerose strutture anatomiche in intima relazione con la spalla.
  • Fluidica: così come fanno i nervi, importanti strutture vascolari passano alla base del collo e salgono verso la cervicale o verso la spalla.

spalla_impiegato_02Se invece ragioniamo secondo schemi più globali ci rendiamo conto di come la spalla e la cervicale siano coinvolte reciprocamente e contemporaneamente in problematiche relative a tensioni e scompensi di catene miofasciali più complesse.

La postura

Un esempio è lo schema posturale detto “upper crossed sindrome”, in cui aumenta la cifosi dorsale e la testa si sposta in avanti con uno squilibrio muscolare evidente tra catene anteriori e posteriori.

Se pensiamo a quante ore passiamo davanti agli schermi dei PC, dei tablet o degli smartphone, ci rendiamo conto di come schemi posturali alterati vengano costantemente alimentati.

In questi casi il fattore tempo è determinante, ovvero, non conta “in che posizione mi metto” ma quanto tempo ci sto in quella posizione.

Quando si sta davanti al PC di solito si tiene il mouse lontano dal corpo.

I muscoli tra il collo e la spalla pian piano si contraggono per sostenere il peso del braccio, mentre quelli che tengono in posizione l’omero nell’articolazione tendono ad indebolirsi. Si capisce come tenere tale posizione per molte ore provoca sicuramente dei problemi.

Tenere il mouse costringe i muscoli del collo e del torace a sostenere il peso del braccio.

I sintomi

I sintomi più comuni della “spalla dell’impiegato” sono:

  • Dolore alla spalla con la quale si usa il mouse con sensazione di bruciore
  • Rigidità e dolore nella zona dorsale e attorno alle scapole
  • Dolore che si irradia alla mano con formicolio
  • Dolore al polso
  • Contratture muscolari diffuse o specifiche
  • Perdita di forza alla mano
  • Cefalea
  • In alcuni casi si possono formare delle cisti tendinee attorno al polso

La diagnosi

Dato che l’origine muscolare è sicuramente una delle cause, l’esame clinico rivela punti dolorosi e zone di tensione su muscoli come il trapezio, deltoide, sopraspinoso, elevatore della scapola, muscoli paraspinali e romboidi.

I test di mobilità ci mostrano una perdita di movimento della zona dorsale media e alta (soprattutto in flessione ed estensione) e della colonna cervicale (in rotazione). Saranno presenti disfunzioni specifiche su determinate vertebre sia dorsali che cervicali.

Le costole alte risultano meno mobili a causa della tensione dei muscoli anteriori del collo, spesso questo è responsabile dei formicolii al braccio o della sensazione di mano gonfia.

I test sulla spalla possono essere positivi rispetto a condizioni di tendinosi da sovraccarico (vanno sempre svolti per verificare se ci sono eventuali lesioni tendinee pregresse) o comunque mostrare limitazioni articolari.

Dato che i muscoli attorno all’articolazione sono costantemente in tensione, perderanno la loro efficacia nelle loro funzioni di stabilizzatori articolari per assicurarne il corretto movimento.

Il trattamento

Il trattamento farmacologico si è dimostrato utile solo per gestire la situazione temporaneamente (per qualche ora) e risulta un rimedio esclusivamente sintomatico.

L’approccio fisioterapico/osteopatico invece può fare la differenza nella prognosi di questa condizione patologica. L’obiettivo terapeutico prevede il trattamento di tre zone chiave come la zona toracica e costale alta, il tratto cervicale e l’articolazione della spalla.

Si devono necessariamente normalizzare tutte le disfunzioni articolari delle zone interessate. Le vertebre coinvolte saranno tutte quelle della colonna cervicale e le prime vertebre toraciche (da D1 a D4).

Essendo coinvolte queste vertebre si lavorerà necessariamente anche sulle costole alte.

L’articolazione della spalla va valutata e trattata per quelle che saranno le alterazioni della normale funzione fisiologica.

Il trattamento muscolare e fasciale prevede la gestione delle rigidità e delle tensioni accumulate in modo da rendere i tessuti più elastici.

Spesso il solo trattamento manuale non è sufficiente ad avere risultati sul lungo periodo.

E’ utile quindi programmare con il paziente una serie di esercizi e consigliare dei comportamenti da utilizzare nella vita quotidiana che vedremo nel dettaglio nella seconda parte dell’articolo.

EPICONDILITE – EPITROCLEITE

EPICONDILITE – EPITROCLEITEOggi parliamo di Epicondilite – Epitrocleite. Conosciamola meglio.

Cos’è l’epicondilite?

L’epicondilite è una entesopatia, ossia una problematica a carico di un tendine o un legamento nel punto in cui si inserisce sull’osso. Si parla di epicondilite perché vengono interessati i tendini che si inseriscono sugli epicondili del gomito:

  • Epicondilite laterale
  • Epicondilite mediale (epitrocleite)

Cause e sintomi

Molti autori concordano sul fatto che si tratti di una patologia degenerativa del tendine e non di una infiammazione (quindi il termine tendinite sarebbe improprio), poiché non è rilevata la presenza dei mediatori dell’infiammazione ma si crea un irrigidimento dei vasi capillari che portano il sangue al tendine, quindi la carenza di nutrimento danneggia il tessuto tendineo stesso.

Questo sarebbe dovuto ad un uso eccessivo e ripetuto che genera microtraumi e sovraccarichi o ad un trauma acuto. Più aumenta la durata e l’intensità del dolore e maggiore sarà la proliferazione degli agenti enzimatici che causano la rigidità capillare.

La scarsa vascolarizzazione oltre a generare un danno al tessuto è causa stessa di dolore data la mancanza di apporto sanguigno alle componenti nervose locali.

Concorrono nelle cause anche problemi di origine metabolica sistemica come il diabete (problemi vascolari e neurologici).

A volte può essere un sintomo secondario di patologie a carico dell’articolazione come artrosi importante, lesioni legamentose o intrappolamento del nervo periferico (mediano, ulnare o radiale), quindi sono cause che esulano dal problema tendineo.

I sintomi sono il dolore locale alla palpazione o al movimento, dolore spontaneo che si irradiato sopra o sotto il gomito, deficit delle funzioni articolari o della manualità, a volte gonfiore.

EPICONDILITE LATERALE

EPICONDILITE – EPITROCLEITE 02Conosciuta come ‘’gomito del tennista’’ (il 50% dei tennisti ne soffre), il 95% dei soggetti con epicondilite non gioca a tennis (comune nei violinisti, casalinghe, impiegati). L’incidenza è tra 1% e 3% nella popolazione adulta. Coinvolge la parte esterna del gomito, lì dove si uniscono i tendini estensori del polso.

Il paziente non riesce a stringere la mano forzatamente, a stendere il polso o a ruotare contro resistenza il palmo della mano verso l’alto.

Il dolore è localizzato subito dietro o sotto l’epicondilo (circa 1-2 cm, se più distante probabili altre cause), spesso è urente e irradiato sul dorso della mano. Presente nelle azioni quotidiane come prendere una tazzina di caffè.


EPICONDILITE MEDIALE (EPITROCLEITE)

EPICONDILITE – EPITROCLEITE 03Anche conosciuta come gomito del golfista, coinvolge la parte interna del gomito, dove si inserisce il gruppo dei muscoli flessori del polso.

Meno comune dell’epicondilite, ha però in comune le cause.

Il paziente non riesce a stringere la mano forzatamente, a piegare il polso o a ruotare il palmo verso il basso contro resistenza. Presente nelle azioni quotidiane come afferrare oggetti.

Il dolore maggiore è presente 1-2 cm dall’epitroclea, si può irradiare sulla faccia interna dell’avambraccio o verso l’alto. A volte viene confuso con un tunnel carpale con il quale ha in comune la difficoltà nelle attività manuali. Nelle situazioni croniche il paziente non riesce ed estendere completamente il gomito senza dolore.


La diagnosi dell’epicondilite

La diagnosi si basa sui segni clinici e sui sintomi, può essere supportata da ecografia per valutare lo stato di salute dei tessuti molli e le eventuali alterazioni della loro struttura se la situazione è cronica. La risonanza magnetica è utile per escludere altre cause concomitanti come borsiti o implicazione legamentosa, l’RX ci aiuta a valutare i profili articolari e le eventuali alterazioni strutturali come l’artrosi.

Il trattamento

Il trattamento prevede un lavoro sulla parte muscolare e fasciale affinchè si riducano le forze che sovraccaricano la zona interessata, riducendo la resistenza dei tessuti. Tutte le tecniche che stimolano la vascolarizzazione locale possono essere utili.

L’esercizio terapeutico è necessario per il ripristino della funzione muscolare e articolare, la terapia manuale invece è molto efficace per migliorare l’elasticità dei tessuti e diminuisce le tensioni locali favorendo anche una migliore vascolarizzazione. Il terapista deve essere attento a considerare il meccanismo che crea il sovraccarico non solo a livello locale ma deve valutare il corretto funzionamento delle catene cinetiche muscolari che coinvolgono tutto l’arto superiore compresa la scapola e la zona cervicale e trattare le eventuali disfunzioni.

Fisioterapia gomito del tennista

Il trattamento precoce influisce in maniera determinate sulla progressione della patologia e sui tempi di recupero. Di solito sono problemi che se trattati entro sei settimane dall’esordio dei sintomi hanno una buona prognosi.

tutoreAnche l’utilizzo di FANS o di terapie antinfiammatorie locali può essere utile (nonostante non sia un problema di base infiammatoria) perché vanno a diminuire l’irritazione dei tessuti circostanti che inevitabilmente sono in difficoltà. L’utilizzo di tutori che mettono “a riposo” la giunzione tendinea può avere un’efficacia soggettiva e dipendente dalle attività che il paziente svolge.

Raramente e solo nei casi cronicizzati e che non rispondono ai trattamenti è utile l’utilizzo di docce per immobilizzare l’articolazione. Così come l’utilizzo di corticosteroidi locali (infiltrazioni) sono indicati laddove le terapie conservative non hanno avuto successo.

L’intervento chirurgico è l’ultima ratio nei casi cronici, resistenti ad ogni trattamento con grosse limitazioni funzionali.

 

 

 

Il coccige è l’osso che si trova all’estremità bassa dell’osso sacro con il quale si articola, è composto da 3-5 vertebre fuse tra loro e fornisce l’attacco a numerosi legamenti e muscoli del pavimento pelvico.

Quando il coccige è interessato da problemi irritativi, da sovraccarico o da un trauma avrà origine il dolore, allora parleremo di una Coccigodinia 01condizione dolorosa chiamata coccigodinia, a volte facile da risolvere, altre volte invalidante per il paziente e difficile da affrontare per il professionista della salute.

Attorno all’articolazione tra osso sacro e coccige è presente un gruppo di nervi, il plesso pudendo e la terminazione del tronco del sistema nervoso simpatico, che spesso sono causa di dolori che interessano la zona pelvica.

Il coccige può compiere movimenti minimi di flesso/estensione, la flessione avviene grazie alla contrazione dei muscoli del pavimento pelvico, l’estensione avviene passivamente durante la defecazione ed il parto.

Oltre ai legamenti e ai muscoli del pavimento pelvico, una serie di fasce e di muscoli (importanti come il grande gluteo) lo  circondano.

La sua posizione, le sue caratteristiche anatomiche e biomeccaniche, la connessione con strutture importanti lo predispongono a varie condizioni che possono interferire con la sua integrità.

Coccigodinia 02Circa il 60%-70% dei casi di coccigodinia avviene per traumi, stiamo parlando della caduta “sul sedere”, il dolore solitamente è immediato, altre volte è lieve ma rimane una condizione latente che si manifesta anche dopo 2/3 anni.

Successivamente ad un trauma, oltre all’irritazione dei tessuti si può verificare che il coccige perda il suo normale contatto con il sacro e cambi il suo orientamento normale, parleremo allora di lussazione o sub-lussazione.

Altre cause di coccigodinia possono essere l’eccessiva perdita o l’eccessivo aumento di peso, patologie degenerative articolari, problematiche a carico del pavimento pelvico, fistole sacrali o ascessi.

Le fratture del coccige sono rare. L’irritazione da sovraccarico può essere causa di dolore al coccige, pensiamo alle situazioni in cui la pressione sulla zona è costante come quando si sta troppo tempo seduti soprattutto su superfici inadatte o si fanno sport come il ciclismo o l’equitazione.

In questi casi i tessuti molli che circondano l’osso vanno incontro a microtraumi continui e ad irritazione.

La coccigodinia, senza traumi precedenti, può essere causata da vari fattori, può essere successiva a violenti colpi di frusta o causata da problemi di origine lombo-sacrale (può infatti migliorare con dei trattamenti su questa zona).

Coccigodinia 03L’articolazione fra coccige e osso sacro può andare incontro a processi degenerativi e infiammatori anche cronici, o addirittura borsiti (infiammazione delle borse sierose di scorrimento).

Nelle donne la coccigodinia può essere successiva al parto per cause soprattutto meccaniche e irritative. I soggetti con problemi in zona ano-rettale possono soffrirne a causa dell’irradiazione del dolore.

Sono descritti anche casi di coccigodinia essenziale (senza causa certa) che sono state associate a reazioni psicosomatiche successive ad un lutto o al divorzio.

Ci sono delle situazioni congenite in cui il coccige si trova più in flessione del normale e negli anni questo mal posizionamento può essere causa di dolore.

Il dolore della coccigodinia si manifesta soprattutto quando si sta seduti, quindi quando c’è contatto diretto, si riduce rimettendosi in piedi o riducendo la pressione sulla zona.

Se c’è una lussazione il dolore è presente anche al cambio di posizione o nel rialzarsi dalla sedia. La tosse, gli starnuti, la defecazione o i rapporti sessuali sono tutte situazioni che possono aumentare il dolore.

Coccigodinia 04Molti problemi viscerali come fistole anali, cisti, prostatiti, emorroidi, problemi ginecologici o rettali possono “mimare” un dolore al coccige che non avrà quindi un’origine muscolo-scheletrica.

In fase di valutazione clinica bisogna sempre interrogare il paziente su eventuali problemi correlati per una corretta diagnosi differenziale.

La valutazione prevede la palpazione di tutta l’area per cercare i punti più dolenti, questi di solito si  individuano all’apice del coccige e/o sui tessuti circostanti.

Si valuta sempre il corretto movimento articolare in relazione all’osso sacro e la tensione dei muscoli, dei legamenti e delle fasce che possono essere tesi e accorciati e possono presentare essi stessi punti dolorosi soprattutto sui margini laterali dell’osso.

Per accertare la diagnosi possono essere utili più indagini strumentali che devono comunque essere sempre affiancati da una corretta valutazione clinica.

Le radiografie ci mostrano la corretta posizione del coccige e i suoi rapporti con l’osso sacro.

E’ consigliabile sottoporsi ai raggi X sia in posizione eretta che da seduti, in quest’ultima posizione la lussazione in flessione può risultare più evidente.

La risonanza magnetica può essere utile per escludere problemi che interessano i tessuti circostanti l’osso.

La coccigodinia risponde bene al lavoro manuale. Generalmente il trattamento prevede una serie di tecniche sull’articolazione tra osso sacro e coccige per ridurre le disfunzioni potenziali che ne alterano il movimento.

Nei casi di lussazione o sub-lussazione bisogna ristabilire il normale rapporto articolare altrimenti il problema facilmente diventa cronico, i risultati del trattamento di solito sono immediati e definitivi.

Oltre all’articolazione vengono trattati necessariamente tutti i tessuti attorno compresi i muscoli del pavimento pelvico che facilmente troveremo contratti e accorciati così come una serie di strutture legamentose e fasciali che arrivano sul coccige e che  sono fonte di tensioni, di restrizioni di movimento e che possono essere responsabili del dolore (diretto o irradiato  sugli stessi tessuti circostanti).

Il lavoro riflesso sull’osso sacro è utile a ridurre il segnale doloroso sui nervi che circondano la zona.

È necessario controllare tutte le strutture che hanno a che fare con il bacino (sacro, colonna lombare e anche) perché potremmo trovare la causa o le concause che alimentano la situazione dolorosa.

In alcuni casi è utile consigliare esercizi a casa per il recupero del tono dei muscoli del pavimento pelvico come per esempio gli “esercizi di Kegel”.

Nella fase acuta o sub-acuta è utile consigliare al paziente l’uso di cuscini ad anello da utilizzare sempre quando si sta seduti.

Se al termine di almeno un ciclo di trattamenti manuali la sintomatologia è refrattaria si può associare la terapia fisica con l’uso di ultrasuono o laser terapia, o si consigliano infiltrazioni locali di anestetico o di corticosteroidi.

Chi di noi almeno una volta nella vita non ha subito una distorsione di caviglia o, più comunemente chiamata, “storta di caviglia”?

Cos’è la distorsione di caviglia?

distorsione di caviglia 01In termine medico si parla di distorsione, che per definizione è una sollecitazione, di solito traumatica, che tende a modificare i normali rapporti articolari con successiva lesione delle strutture legamentose e della capsula che avvolge l’articolazione.

Il movimento che si genera per motivi spesso indiretti (non un colpo diretto, ma successivo ad un movimento anomalo) imprime all’articolazione una sollecitazione non fisiologica.

In ordine di frequenza la distorsione di caviglia è la più comune dopo quella del ginocchio.

Classificazione

Le distorsioni di caviglia si classificano in:

  • 1° grado: le più lievi. Si verifica uno stiramento dei legamenti senza lesioni, con lieve gonfiore, temporanea limitazione delle normali funzioni, dolore passeggero. Può causare nell’immediato instabilità.
  • 2° grado: rottura parziale di uno o più legamenti. Presenti tumefazione, ematoma attorno al malleolo (l’osso sporgente della caviglia) per rottura di alcuni vasi sanguigni. Dolenzia di media entità e instabilità modesta, lieve limitazione funzionale.
  • 3° grado: instabilità severa, rottura completa dei legamenti. Edema massivo con importante ematoma. Seria limitazione funzionale.

Il dolore nella distorsione di caviglia

Il dolore in fase acuta può essere intenso e dura i base al grado di lesione dei legamenti.

Nei casi lievi hanno prognosi benigna, ovvero c’è una completa guarigione con un ritorno precoce alle attività quotidiane.

Nei gradi 2° o 3° se non trattate adeguatamente il ripristino delle normali funzioni può essere lento, il dolore persistente, la limitazione funzionale e la instabilità articolare può ostacolare le normali attività come camminare, predispone ad una artrosi precoce.

Possono essere colpiti tutti i soggetti a tutte le età, ovviamente l’attività fisica predispone a questo tipo di traumi anche se è molto frequente nelle persone che non fanno attività sportiva, quando si scende da un gradino o la “classica” buca sul marciapiede.

radiografiaLa diagnosi

La storia traumatica e la presenza dei segni e sintomi clinici indirizzano nella diagnosi, inoltre le indagini radiologiche ci aiutano nella valutazione del grado di lesione.

È consigliabile fare immediatamente una radiografia per escludere l’interessamento delle strutture ossee.

Una conseguenza molto comune dopo una distorsione di caviglia è la frattura della base del quinto metatarso (l’osso più esterno del piede), spesso subdola non sempre viene riconosciuta subito, avviene per effetto dello stiramento di un tendine che si attacca proprio su quest’osso.

La radiografia ci aiuta ad escludere tale evenienza.

La risonanza magnetica o l’ecografia invece si sono utili per definire una eventuale lesione alle strutture molli come i legamenti e quindi a definire il grado di lesione.

stampelleIl trattamento della distorsione di caviglia

Il trattamento in fase acuta prevede immobilizzazione (con tempi che variano da pochi giorni ad alcune settimane in base al grado di lesione) con l’eventuale uso di tutore, riposo, quindi astensione da carico ed uso di canadesi (stampelle), ghiaccio per ridurre l’edema, l’uso di macchinari come la magnetoterapia per aiutare i tessuti a recuperare dal danno subito.

L’uso della terapia manuale, in fase acuta nei casi lievi, è importante intanto per ridurre l’edema e per evitare le rigidità articolari che sono successive all’immobilità.

Successivamente alla fase acuta si rispettano i tempi di recupero degli eventuali danni ai tessuti molli (3 settimane) o alle ossa (4 settimane) e poi si procede con un programma di recupero funzionale composto da trattamenti per il recupero di tutti i movimenti fisiologici, recupero della forza, controllo e gestione delle eventuali tendinee o legamentose dovute alla immobilità.

tavolette propriocettiveParticolarmente importante è il lavoro sotto carico e con l’uso di tavolette propriocettive che servono a migliorare il controllo dell’articolazione durante tutte le fasi di appoggio nei vari movimenti, inoltre migliora decisamente la stabilità dell’articolazione e quindi evita le recidive che possono essere frequenti dopo un trauma del genere.

La giusta attenzione va posta su quelli che sono gli effetti a distanza che una distorsione di caviglia può generare. La problematica più frequente riguarda gli adattamenti che il corpo fa sulle catene muscolari ascendenti che possono causare infortuni ai muscoli posteriori della coscia, all’articolazione del bacino o della colonna lombare.

È compito del terapista tener coto di tali eventualità e impostare un trattamento che prenda in considerazione questa eventualità con esercizi mirati a migliorare l’elasticità muscolare e una buona mobilità articolare del bacino e della colonna vertebrale.

La patologia dell’impingement femoro-acetabolare (FAI), oggi considerata la causa principale di artrosi secondaria, è stata descritta per la prima volta nel 1992.

L’impingement

Con il termine impingement si definisce una condizione in cui si crea un “conflitto” tra strutture anatomiche a ridosso di un’articolazione, questo può avvenire durante un movimento semplice o forzato.

Inpingement_femoro_acetabolare_01Il FAI si crea per un anomalo contatto tra la base della testa del femore ed il bordo dell’acetabolo.

L’articolazione dell’anca è formata dalla testa del femore che si articola con una cavità dell’osso iliaco del bacino detta acetabolo.

Tra la testa del femore e l’acetabolo si interpone una struttura fibrocartilaginea detta labbro acetabolare.

Due forme principali di FAI sono state descritte:

  • PINCER: il bordo acetabolare è più sporgente. Ciò provoca un conflitto tra la base della testa del femore ed il bordo dell’acetabolo tale da produrre una lesione del labbro acetabolare, calcificazioni, osteoartrite degenerativa. Più comune nelle donne adulte (età media 40anni, rapporto 3:1 con i maschi).
  • CAM: deformità della base della testa del femore che perde la sua forma sferica normale. Essa fisiologicamente si restringe gradualmente verso il collo assumendo la forma di una lampadina, proprio per ridurre il contatto tra i capi ossei. La “sporgenza” che si viene a creare collide con il bordo acetabolare e la cartilagine articolare. Più comune negli uomini giovani (età media 32 anni, rapporto 14:1 con le donne)

Inpingement_femoro_acetabolare_02

Spesso è comune avere entrambe le forme, avremo quindi una condizione di FAI misto.

Una grossa percentuale di pazienti asintomatici, di solito di giovane età, presentano i segni radiologici di un FAI, che si può manifestare in età adulta, non manifestarsi mai, o esordire direttamente con i sintomi e i segni di degenerazione articolare in età adulta.

I pazienti con FAI sintomatico presentano dolore all’anca o all’inguine che esordisce in maniera subdola (raramente acuta), aggravato dall’attività fisica o da funzioni quotidiane (mettersi le scarpe o i calzini) che prevedono una forzata flessione della coscia sul tronco, questo movimento risulterà il più doloroso insieme alle rotazioni del femore verso l’interno.

Nel tempo si verifica una netta riduzione dell’articolarità.

Altre situazioni che scatenano il dolore sono il rialzarsi dopo essere stati seduti a lungo, così come salire le scale o camminare in salita.

Scrosci articolari sono udibili se sono presenti lesioni al labbro, calcificazioni o degenerazioni cartilaginee.

Inpingement_femoro_acetabolare_03Le lesioni a carico del labbro acetabolare sono molto frequenti nei danzatori, nei calciatori, nei tennisti, in chi pratica arti marziali e nei golfisti a causa della ripetitività del gesto atletico. La fascia di età media in cui si presenta tale lesione è di circa 40 anni.

Esiste una condizione di impingement funzionale nella quale non risultano malformazioni ossee, né della testa del femore né dell’acetabolo.

In questo caso durante il movimento di flessione estrema (la gamba che si avvicina al tronco) il femore che dovrebbe scivolare leggermente indietro non compie tale movimento e si crea un conflitto anteriore tra il femore stesso, la capsula articolare ed il bordo dell’articolazione.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte a pazienti giovani di solito corridori o danzatori.

Lo squilibrio muscolare, in particolare la perdita di forza del medio gluteo, non riesce a proteggere l’articolazione da eventuali disfunzioni che possono generare un conflitto articolare.

È importante riconoscere precocemente tali disfunzioni per evitare problemi articolari degenerativi.

L’esame clinico e funzionale in un FAI prevede:

  • Valutazione della completa articolarità dell’anca.
  • Valutazione dell’articolarità del ginocchio, del bacino e della colonna per escludere patologie concomitanti.
  • Valutazione della deambulazione.
  • Valutazione della forza muscolare selettiva per ogni muscolo o di gruppi muscolari sinergici.

Specifici segni e test ci permettono di accertare la presenza o meno del FAI:

  • Segno di Trendelenburg
  • Faber test
  • Faddir test (anteriori hip impingement test)
  • Posterior impingement test

La diagnosi e il trattamento

La diagnosi si avvale di esami diagnostici standard, la RX (con immagini assiali oblique parallele al collo femorale) è utile per le deformazioni ossee, la RM  per i danni alle strutture molli come le lesioni del labbro acetabolare.

Il trattamento conservativo, soprattutto nei pazienti giovani, è la prima cosa da fare nei casi di FAI.

Il supporto con farmaci antinfiammatori può essere utile nei periodi di acuzie del dolore.

La terapia manuale è utilissima per ridurre tutte le tensioni tessutali presenti ed assicurare una corretta mobilità articolare proprio per evitare il conflitto. Inoltre normalizza tutte le disfunzioni che alterano la posizione reciproca dei capi articolari.

Si procede con una serie di esercizi che mirano ad un corretto equilibrio muscolare e alla stabilità del core (tronco), del bacino e dell’anca, associando stretching dei gruppi muscolari troppo forti e accorciati.

È fondamentale una corretta attivazione dei glutei che ci permette di ridurre il carico sul labbro acetabolare e ridurre l’impingement.

I pazienti con FAI di solito hanno dei movimenti ben specifici che creano dolore, è utile quindi consigliare la giusta attività fisica che riduca il più possibile la possibilità di ricreare il movimento che genera l’impingement.

La chirurgia

Inpingement_femoro_acetabolare_04Se il trattamento conservativo non da buoni risultati il trattamento chirurgico è consigliabile.

Questo ha lo scopo di ripristinare la normale anatomia dell’articolazione, correggere le eventuali lesioni del labbro ed eliminare le calcificazioni.

Prevede di solito un accesso artroscopico.

Il trattamento riabilitativo post-chirurgico deve essere mirato e specifico, possibilmente in prima battuta concordato con il chirurgo per stabilire i tempi di recupero in base alla tipologia di intervento e definire i tempi per ripristinare il carico articolare.

 


Vi invito alla lettura di un altro articolo, nel quale vi illustro quali sono gli esercizi da seguire in autonomia utili sia per la prevenzione sia per il trattamento delle problematiche di anca.

Cos’è la sindrome della cuffia dei rotatori

Cuffia rotatori 01Tra i tanti problemi che possono colpire l’articolazione della spalla, quella più frequente è sicuramente la così detta sindrome della cuffia dei rotatori (SCR).

In un solo termine vengono raggruppate una serie di patologie che hanno in comune una tendinopatia dei muscoli che “avvolgono” l’articolazione e che formano appunto la così detta cuffia.

La salute della spalla dipende dalla stabilità data dai tessuti molli e particolarmente dai muscoli che la circondano.

Lesioni o danni a queste strutture causano perdita delle normali funzioni articolari e dolore.

Questa condizione patologica è molto frequente nei soggetti dopo i 40 anni di età (se consideriamo solo le problematiche degenerative e non i traumi).

Circa il 28% dei soggetti sopra i 60 anni ha una lesione ai tendini della cuffia dei rotatori. Il 65% dei soggetti di età superiore ai 70 ha uno strappo a tutto spessore di uno dei tendini interessati.

Spesso è bilaterale (50% dei pazienti sopra i 60 anni), ma nel 56% dei casi è asintomatica.


Le cause

Le cause possono includere fattori intrinseci all’articolazione o estrinseci.

I primi sono tipicamente a carico della regione del muscolo sopraspinoso (e del suo tendine), che col passare del tempo presenta una diminuzione dell’apporto sanguigno da parte dei capillari arteriosi.

Gli altri includono problemi di assottigliamento dei legamenti che circondano l’articolazione, infiammazione della borsa sierosa (borsite sub acromiale) e anomalie della forma dell’acromion che è l’osso che sovrasta l’articolazione.

Cuffia rotatori 02Tra le patologie che coinvolgono la cuffia dei rotatori la sindrome da impingement è la più diffusa.

È data da un conflitto che si viene a creare  tra le strutture tendinee (particolarmente del tendine del muscolo sovraspinoso) e la parte ossea della scapola (l’acromion) che lo sovrastano.

Una ulteriore causa è l’accumulo di calcio attorno ai tendini.

Questo accumulo creerà un tendinopatia calcifica, che può rimanere asintomatica a lungo (a volte si risolve spontaneamente) o causare una sintomatologia acuta con dolore severo.

Cuffia rotatori 03La Sindrome della cuffia dei rotatori  inizia con una lieve irritazione dei tendini, con possibile edema,  che diventa poi una tendinosi (fase degenerativa e fibrosi).

Progredisce poi verso una parziale lacerazione che nel tempo può diventare importante tanto da coinvolgere il tendine su tutto il suo spessore e creare un distacco.

I tendini maggiormente coinvolti sono statisticamente il sovraspinoso, il sottospinoso, il sottoscapolare e poi il tendine del capo lungo del bicipite.

Solitamente le lesioni massive si verificano nei soggetti che hanno sottovalutato i sintomi iniziali, o se si associa ad una condizione degenerativa, un trauma o un’alterazione della morfologia dei profili ossei che compongono l’articolazione.

Le lesioni possono variare da meno di 1 cm e raggiungere quasi i 5 cm.


La sintomatologia della sindrome della cuffia dei rotatori

Cuffia rotatori 04Il dolore tipico della Sindrome della cuffia dei rotatori (SCR) è sordo, localizzato sull’articolazione e leggermente laterale.

Viene aggravato dalle attività che richiedono sforzi dei muscoli coinvolti, movimenti con il braccio sollevato o in apertura del braccio stesso.

Spesso notturno tanto da svegliare il paziente o se si svolgono attività faticose e ripetitive (per esempio stirare).

Se il dolore persiste a volte si irradia fino al gomito o alla mano (dal lato del pollice) anche a riposo.

Nel tempo vengono coinvolti i muscoli del dorso e del collo a causa dei compensi che il soggetto attua per sfuggire al dolore e questo scaturisce in dorsalgie o cervicalgie secondarie.

Se il paziente non ricorre alle necessarie cure nel tempo si creerà una rigidità della capsula articolare (il manicotto legamentoso che avvolge tutta l’articolazione).

Questo limiterà notevolmente i movimenti tanto da non permettere di svolgere le normali attività quotidiane, anche le più banali come pettinarsi o lavarsi.

La cronicizzazione della patologia porta alla atrofia dei muscoli con conseguente infiltrazione di grasso tra le fibre muscolari.


La diagnosi

Cuffia rotatori 05L’esame diagnostico prevede una batteria di test che ci aiutano ad individuare se la causa è all’interno dell’articolazione o meno, e quali strutture sono più coinvolte.

Le indagini radiografiche di supporto ci vengono in soccorso per quantificare e localizzare meglio una eventuale lesione.

La risonanza magnetica è sicuramente l’esame di elezione, solo nel caso si sospetti una tendinopatia calcifica è meglio ricorrere ad radiografia standard.


Il trattamento

Il trattamento primario è sicuramente quello conservativo, che prevede il recupero della mobilità e della forza dei muscoli coinvolti ristabilendo la normale biomeccanica articolare e muscolare che può essere alla base di un processo degenerativo precoce.

Un trattamento tempestivo migliora la prognosi.

Un programma riabilitativo che tiene conto della causa che ha generato la patologia è oggi fondamentale e spesso risolutivo.

Non vanno sottovalutati gli eventuali compensi che la struttura mette in atto per diminuire il dolore, quindi necessariamente si devono trattare tutte le articolazioni vicine alla spalla e spesso la colonna cervicale e quella dorsale risultano coinvolte.

Nel caso la fisioterapia risulti poco efficace si può ricorrere all’aiuto di farmaci antinfiammatori o a infiltrazioni locali di anestetico e di acido ialuronico.

Se il dolore persiste nonostante i trattamenti conservativi si procede al trattamento chirurgico e ad un successivo recupero funzionale post-operatorio. I tempi di recupero variano dai 3 ai 6 mesi in base all’entità della lesione ed al tipo di intervento chirurgico.


Sempre in tema “spalla”, suggerisco la lettura anche di: Mouse shoulder: spalla dell’impiegato

 

Articolo presente anche su: apainstitute.it

 

mal di schiena 01In questo articolo vorrei riportare un editoriale redatto a fine 2019 sul British Journal of Sport Medicine[1] in cui vengono descritte le dieci cose che sia i pazienti sia gli operatori sanitari devono conoscere sul mal di schiena (o lombalgia) e quali sono i falsi miti a riguardo.

Mal di schiena e lombalgia

La lombalgia sappiamo bene essere la principale causa di disabilità e di assenteismo dal lavoro in tutto il mondo, ed è il motivo per cui i pazienti si rivolgono alle cure mediche, a volte costose ed inefficaci.

Spesso le false convinzioni, rafforzate dalla cattiva informazione da parte degli organi di informazione e degli stessi operatori sanitari creano confusione per il paziente, inoltre spesso non sono supportate da prove scientifiche.

Questo elenco ne è un esempio:

  1. La lombalgia è una grave condizione patologica.
  2. Lombalgia diventa persistente e degenera nel corso della vita.
  3. La lombalgia persistente è sempre legata a un danno dei tessuti.
  4. Gli esami radiologici (Rx, TAC o risonanza magnetica) sono sempre necessari per trovare la causa.
  5. Il dolore legato all’esercizio fisico o al movimento è sempre un segnale che si sta compiendo un gesto sbagliato per la colonna vertebrale e bisogna interrompere l’attività.
  6. La lombalgia è causata da una cattiva postura se stiamo seduti, in piedi o sdraiati.
  7. La lombalgia è causata da una debolezza dei muscoli del tronco.
  8. Il carico ripetuto sulla colonna provoca danni o usura alla struttura.
  9. Le riacutizzazioni sono il segno di un danno ai tessuti e richiedono riposo.
  10. L’assunzione di farmaci o l’intervento chirurgico sono necessari ed efficaci per il trattamento della lombalgia.

Pensare positivo!

mal di schiena 02Le false convinzioni, i consigli sbagliati, i comportamenti non corretti o i rimedi inutili contribuiscono a alimentare nel paziente la paura, l’atteggiamento negativo e pessimista rispetto alla sua condizione di dolore e disabilità.

Perderà fiducia nella possibilità di recuperare una buona qualità di vita e le normali funzioni quotidiane, compromettendo l’equilibrio psichico e favorendo stress, ansia e depressione.

Un atteggiamento positivo rispetto alla patologia sia associa a livelli più bassi di dolore e ad una migliore gestione della patologia stessa.

Cosa sappiamo del mal di schiena?

Vediamo allora quali sono, secondo l’autore della pubblicazione, le dieci cose utili da sapere sulla lombalgia, sostenuti dalle evidenze scientifiche:

  1. La lombalgia non è una patologia grave e irreversibile, nè una situazione che degenera in una disabilità permanente. La lombalgia persistente può essere disabilitante ma raramente è pericolosa per la vita e difficilmente si finisce “in sedia a rotelle”.
  2. La maggior parte delle lombalgie migliora e non è detto che peggiora con l’età. Anche se si è convinti che la tarda età sia una causa predisponente la lombalgia, non ci sono dati scientifici che supportano tale tesi.
  3. La causa non è data da danni ai tessuti ma spesso da una mentalità negativa, dalla paura e da false aspettative. Quando si subisce un danno ai tessuti di solito la guarigione avviene nell’arco di tre mesi, molte lombalgie persistono oltre questo tempo quindi ci saranno altri fattori che contribuiscono quali stress, tensione, affaticamento, inattività, o attività non abituali. Molte lombalgie iniziano con il movimento e senza lesioni.
  4. Le indagini radiografiche non sono determinanti per una corretta prognosi e non migliorano i risultati clinici.
  5. L’esercizio fisico e il movimento sono utili ad un buon recupero e sono salutari per la colonna vertebrale.mal di schiena 03
  6. La postura non è un elemento determinante per l’insorgenza della lombalgia o per la sua persistenza.
  7. La debolezza dei muscoli del tronco non causa la lombalgia, a volte è l’eccessiva tensione di tali muscoli a provocarla, è necessario quindi un giusto equilibrio tra forza ed elasticità.
  8. Il carico ripetuto (nei limiti delle capacità fisiologiche) e il movimento aiutano a creare una giusta risposta della struttura ai sovraccarichi.
  9. Le riacutizzazioni del dolore sono correlate ai cambiamenti di attività, a stress e ai cambiamenti dell’umore piuttosto che ai danni ai tessuti. La gestione corretta della lombalgia prevede soprattutto un’educazione del paziente ai giusti comportamenti quotidiani, corrette attività sociali, sane abitudini e una corretta condotta.
  10. mal di schiena 04Infiltrazioni, chirurgia e uso di farmaci pesanti come gli oppiacei non sono efficaci sul lungo periodo come trattamento della lombalgia persistente. Inoltre non sono esenti da rischi o da effetti indesiderati.

La corretta informazione

Questo articolo ha come scopo quello di informare correttamente i pazienti che hanno a che fare con il problema del mal di schiena affinché sappiano gestire al meglio lo stato patologico e la fase di recupero.

Affidarsi ai giusti professionisti è la cosa migliore ma bisogna farlo con la consapevolezza che le informazioni che si ricevono siano corrette e supportate da conoscenze concrete e scientificamente riconosciute.

Il compito del fisioterapista è tranquillizzare il paziente affinché sappia gestire il suo stato patologico senza alimentare ansie o paure infondate e poco utili al processo di guarigione.

 

Articolo presente anche su: APA Institute.it


[1] O’Sullivan PB, Caneiro J, O’Sullivan K, et al – Back to basics: 10 facts every person should know about back pain – British Journal of Sports Medicine Published Online First: 31 December 2019. doi: 10.1136/bjsports-2019-101611

Rimedi ed esercizi

 

Nella prima parte abbiamo descritto la condizione patologica detta “spalla dell’impiegato”.

In questa seconda parte elencherò una serie di consigli da dare al paziente e che dovrà mettere in atto durante le attività quotidiane.

Inoltre descriverò una serie di esercizi molto semplici per ridurre le tensioni muscolari e migliorare la mobilità dei segmenti anatomici interessati dal problema.

Le abitudini

Indicazioni su come modificare le abitudini quotidiane :

  • Usare possibilmente il mouse alternando entrambe le mani con tempi prestabiliti (20 minuti per mano).
  • Mouse-shoulder-02Più il mouse è vicino al tronco e meno sono coinvolti i muscoli della spalla.
  • Mouse-shoulder-01Cambiare il mouse con un dispositivo Trackball può essere un buon compromesso perché non costringe ad allontanare troppo il braccio dal tronco.
  • Utilizzare delle cuffie collegate all’apparecchio telefonico in sostituzione della cornetta.
  • Agire il più possibile sul fattore “tempo”, quindi cambiare spesso posizione e postazione lavorativa (alternandosi con i colleghi) e alternare, laddove possibile, la posizione seduta a quella in piedi (usando una scrivania alta).
  • Alzarsi regolarmente, per esempio se si risponde al telefono lo si può fare abbandonando la postazione seduta.
  • Limitare i più possibile l’utilizzo di pc, tablet o smartphone al di fuori delle ore lavorative.
  • Evitare di trascorrere troppe ore alla guida.
  • L’esercizio fisico a basso impatto di 30 minuti circa al giorno è sempre consigliato.

Gli esercizi

Gli esercizi da consigliare devono essere semplici e che si possano fare in un ambiente casalingo o addirittura sul posto di lavoro.

Devono essere facili da memorizzare e soprattutto si devono poter fare con semplici attrezzi reperibili.

Questa sequenza che io propongo può essere modificata a piacimento e può essere una base di partenza nella quale inserire ulteriori esercizi.

Si raccomanda di eseguire il protocollo in un tempo tra i 5 e i 10 minuti eventualmente da ripete ogni 2-3 ore.

Progressivamente il soggetto realizzerà che questa sequenza lo aiuta a star meglio e quindi la potrà eseguire quante volte vuole.


  • Mouse-shoulder-03Ci appoggiamo al muro con il sedere, la nuca ed il dorso delle mani aderenti (diverso rispetto alla foto che mette i palmi rivolti al muro). Le spalle devono essere più vicine possibile alla parete. La colonna lombare deve essere staccata per ricreare la normale curvatura anatomica. Si tiene questa posizione per 10 sec.
  • Da questa posizione di partenza si aprono le braccia a croce e si tiene la posizione per altri 10 sec.
  • Le braccia salgono ancora fino a formare una Y e si tiene la posizione per altri 10 sec.
  • La respirazione è lenta e profonda

  • Mouse-shoulder-04Si ritorna nella posizione di partenza
  • Faccio una flessione e un’estensione della colonna cervicale per una diecina di volte

  • Mouse-shoulder-05Ritorno in posizione neutra e faccio rotazione destra e sinistra del collo

  • In piedi possibilmente davanti uno specchio apro e chiudo le spalle “come se fosse un libro”.

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  • Seduti ad una sedia incrocio le dita delle mani e stiro le braccia verso l’alto come se volessi toccare il soffitto con il palmo delle mani.

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  • Partendo dalla posizione dell’esercizio precedente inclino la colonna da una parte e dall’altra (se avverto la sensazione di stiramento vuol dire che sto allungando bene i muscoli)

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  • Attacco una banda elastica (facilmente reperibile in tutti i negozi di articoli sportivi) alla gamba di un tavolino. Partendo da braccia tese, piego i gomiti cercando di portare anche le spalle indietro aprendole (esercizio del vogatore)

                       

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  • In piedi con i gomiti piegati e ben aderenti al tronco tengo in mano una banda elastica e allontano reciprocamente i palmi delle mani

 

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  • In piedi tenendo una banda elastica con le mani allargo e sollevo le braccia all’altezza delle spalle.

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Il tumore alla mammella è il tumore più diffuso in assoluto, il primo per incidenza nelle donne, i dati parlano di  53.500 casi nel 2019.

Fortunatamente la profilassi e la diagnosi precoce permettono di avere una sopravvivenza a dieci anni dalla diagnosi pari all’80%.

La maggior parte di queste donne subisce un intervento chirurgico o si sottopone a terapie invasive con esiti buoni per la patologia tumorale ma che lasciano una serie di problemi che possono influenzare negativamente la vita quotidiana.

L’intervento chirurgico può essere:

  • Conservativo: si asporta solo il tumore e una parte di tessuto circostante (quadrantectomia)
  • Demolitivo: si asporta tutta la mammella (mastectomia)

Oltre al tessuto mammario spesso sono interessati dalla neoplasia i linfonodi ascellari il cui numero può variare da 20 a 40 e servono a drenare e filtrare la linfa che arriva dal braccio e dal troco dallo stesso lato.

Il chirurgo può decidere se intervenire in maniera selettiva su ognuno o procedere allo “svuotamento” di tutto il cavo ascellare, in questo caso una complicanza molto frequente è il linfedema all’arto superiore, anche perché questo prevede inevitabilmente l’interessamento delle componenti arteriose e venose (arteria e vena ascellari) oltre che la componente linfatica.

Ma vedremo che non è l’unica complicazione che può scaturire da un intervento del genere.

Il fisioterapista o l’osteopata hanno un ruolo importantissimo nella fase post-chirurgica acuta e sub-acuta proprio per gestire tutte le normali conseguenze chirurgiche o le eventuali complicanze.

POST MASTECTOMIA 01Tutta la sequela di problemi che si hanno dopo l’intervento chirurgico post mastectomia è chiamata SINDROME ASCELLARE, il rischio è di manifestare appunto capsuliti adesive, alterazione della funzione dei muscoli e delle fasce, nevralgie del plesso brachiale, e problemi alla cuffia dei rotatori.

Circa il 27% delle donne, sei mesi dopo l’intervento soffre di problemi legati all’articolazione della spalla.

Il dolore persistente pot-mastectomia è una comune  condizione successiva all’intervento chirurgico, ha un’incidenza che va dal 20% al 50% e può essere in alcuni casi molto severo.

È urente (sensazione di bruciore) o pungente, è sordo e si irradia al petto, all’ascella e a volte su tutto l’arto.

Aumenta durante i movimenti (soprattutto quelli con la mano sopra la testa), con gli sforzi o con il freddo.

Generalmente la causa è una nevralgia persistente che coinvolge il nervo intercostale che può essere compromesso durante l’intervento.

POST MASTECTOMIA 02Durante la mastectomia demolitiva possono essere interessati anche i nervi toracico lungo o l’ascellare  e i relativi muscoli con conseguente alterazione del movimento della scapola e della spalla.

Le problematiche relative all’articolazione della spalla dipendono dall’interessamento del muscolo piccolo pettorale che durante il trattamento chirurgico viene inevitabilmente compromesso con le sue fibre che risulteranno danneggiate e accorciate.

Questo genera una riduzione della capacità di movimento articolare della spalla e nel tempo da luogo a problematiche degenerative (ossee o tendinee) oltre che essere la causa della retrazione della capsula articolare che può andare incontro ad infiammazione acuta (capsulite o spalla “congelata”) nel giro di pochi mesi.

La presenza di dolori preesistenti l’intervento possono causare situazioni di dolore cronico dato proprio dagli esiti chirurgici.

Un’altra ipotesi presa in considerazione dagli studi sperimentali è quella dei “nocicettori intatti”, ovvero le fibre nervose sane che si trovano vicino a quelle danneggiate durante l’intervento chirurgico diventano esse stesse capaci di inviare segnali dolorosi al cervello.

Questo spiegherebbe il dolore cronico.

Purtroppo il rischio di dolore cronico aumenta se le pazienti vengono sottoposte a radioterapia dopo l’intervento, perché aumentano la fibrosi dei tessuti irradiati, il rischio di danno neurologico e la degenerazione articolare.

POST MASTECTOMIA 03La cicatrice è un altro elemento che “disturba” la normale mobilità dei tessuti con la formazione di aderenze oltre ad essere la fonte di dolore locale o irradiato lungo il braccio.

Da non sottovalutare l’impatto che una determinata condizione patologica come il tumore può avere sull’aspetto psicologico del paziente e come questo modifica la qualità della vita e il quadro psico-emozionale.

Questi sono fattori che influenzano decisamente la percezione del dolore.

I disturbi del sonno sono frequenti nelle donne mastectomizzate (40%), questi spesso sono generati da dolori al petto, al collo e alle spalle con debolezza agli arti superiori.

Purtroppo il disturbo del sonno pare persista anche molti anni dopo l’intervento.

Sono molti gli approcci terapeutici che devono essere attuati in fase post chirurgica e c’è la necessità di un lavoro multidisciplinare, eventualmente con un supporto farmacologico specifico se non risultano sufficienti gli altri trattamenti.

Linfedema Perdita di peso (se necessario), terapia fisica e terapia occupazionale, terapia manuale (linfodrenante), chirurgia nei casi gravi e refrattari ai trattamenti
Depressione e stati d’ansia Terapia cognitiva e psicologica, meditazione, yoga
Affaticabilità Gestire le eventuali problematiche organiche correlate (tiroide, anemia ecc.), esercizio riabilitativo, attività fisica, yoga
Dolore e neuropatie Terapia manuale, esercizio riabilitativo, massaggio, agopuntura,  attività fisica
Menopausa prematura Cambiamento dello stile di vita

La fisioterapia rappresenta un trattamento fondamentale nella gestione degli esiti post-chirurgici dopo mastectomia.

Le linee guida suggeriscono di iniziare la riabilitazione il giorno dopo l’intervento per migliorare la mobilità dei tessuti e delle articolazioni implicate.

È utile a preservare i movimenti della spalla e della scapola, la gestione della forza, il recupero neuromuscolare e le disfunzioni dell’arto superiore.

La sequenza degli esercizi è gestita progressivamente anche in base alla rimozione del drenaggio e allo stato della cicatrice. In circa 6-8 settimane si deve recuperare il 100% dell’ampiezza articolare e della mobilità attiva.

Lavorare con tecniche specifiche sulla mobilità dei nervi che decorrono lungo il braccio migliora la conduzione nervosa ostacolando diffusione del segnale doloroso.

La posologia terapeutica prevede delle sedute abbastanza ravvicinate oltre ad una serie di esercizi che la paziente farà a casa quotidianamente.

Le pazienti che iniziano precocemente un percorso terapeutico hanno un aumento netto della qualità della vita nei 3-6 mesi dopo l’intervento paragonate alle pazienti che iniziano in ritardo o non sono sottoposte ad alcuna terapia.

POST MASTECTOMIA 04Un ragionamento a parte va fatto per il linfedema, che è una complicanza frequentissima dopo asportazione dei linfonodi ascellari.

Come rilevano gli studi, il trattamento precoce potrebbe, nel breve periodo,  aumentare lievemente l’edema ma dà risultati migliori sul lungo periodo.

Nonostante questo l’effetto è immediato sulla riduzione del dolore. Il trattamento prevede linfodrenaggio manuale, il bendaggio, terapia occupazionale (non sottoporsi a sforzi importanti ma mantenere comunque una buona mobilità), esercizio terapeutico e cura della cute (per ridurre il rischio di infezioni).

Il trattamento osteopatico prevede oltre che un miglioramento della mobilità del torace anche un lavoro specifico sul diaframma poiché la corretta ventilazione assicura un drenaggio sistemico migliore, sulla parte anteriore del collo e sui visceri come fegato e polmoni.

 

I dati e le tabelle fanno riferimento a: Persistent Post-Mastectomy Pain: Risk Factors and Current Approaches to Treatment. J Pain. 2018 Dec; 19(12): 1367–1383. 2018 Jun 30. doi: 10.1016/j.jpain.2018.06.002

La cervicalgia acuta o così detto “torcicollo”  è una manifestazione  improvvisa che colpisce la colonna cervicale, con dolore acuto e limitazione oggettiva della mobilità, a volte si associa deviazione (rotazione o inclinazione) del capo da un lato con impossibilità a tornare nella posizione neutra.

Cervicalgia acuta 01La cervicalgia acuta più frequente è quella che ha una durata breve (qualche giorno), se invece perdura per nel tempo di solito si associa una condizione infiammatoria locale, ernia discale o cause più severe.

Il dolore è associato al movimento anche minimo e di solito al mattino è più acuto e migliora leggermente con il passare delle ore. I pazienti hanno difficoltà nel dormire perché diventa complicato e doloroso anche solo appoggiare la testa sul cuscino.

Le cause sono spesso irritative (il così detto “colpo d’aria”) con sensibilizzazione delle terminazioni nervose locali o dovute a spasmi muscolari di origine riflessa articolare.

Quando si creano delle disfunzioni articolari specifiche che limitano il movimento di una vertebra o di una unità vertebrale, i muscoli brevi attorno alle vertebre vanno in spasmo (contrattura) perché aumenta la loro attività riflessa.

Anche un piccolo movimento della zona interessata aumenta la risposta riflessa di questi muscoli “fissandoli” così in uno stato di perenne tensione.

Questa condizione influenzerà anche la funzione dei muscoli più lunghi e grandi del collo, che a loro volta creeranno uno stato di allerta e si adatteranno in maniera tale da non alimentare il segnale doloroso.

Per individuare la vertebra o la zona vertebrale interessata i test clinici ci sono sempre di aiuto, così come i test di mobilità (qualora fosse possibile farli).

La direzione della eventuale deviazione del capo già ci da una possibile informazione su quello che può essere il problema meccanico articolare e quali muscoli sono coinvolti direttamente e indirettamente. Va individuata la zona vertebrale interessata dalla problematica, a volte può essere dolorosa anche solo alla palpazione.

Lo studio dei riflesso osteotendinei e della forza ci permettono di fare chiarezza su un eventuale interessamento delle radici nervose che fuoriescono dalla colonna.

La raccolta dei dati clinici del paziente ci permette di stabilire quale può essere una eventuale causa scatenante o una condizione che non è compatibile con il lavoro manuale.

Come già abbiamo detto in precedenza la cervicalgia acuta deve essere di breve durata, le condizioni patologiche severe  che dobbiamo considerare nella diagnosi differenziale e che rappresentano controindicazioni al trattamento manuale sono:

  • Dolore acuto che diventa progressivo, resistente anche ai farmaci, può essere dovuto a neoplasie
  • Dolore acuto dopo un trauma, richiede un approfondimento diagnostico radiologico
  • Dolore acuto con rigidità importante in pazienti che già soffrono di patologie reumatiche (artrite reumatoide, spondilite anchilosante ecc.)
  • Osteoartriti (con o senza episodi febbrili)
  • Malformazioni vertebrali

Cervicalgia acuta 02

Il trattamento prevede necessariamente la riduzione della rigidità che diminuisce il movimento delle vertebre e che ha causato il blocco, la terapia manuale in questo caso ci fornisce un’ottima soluzione terapeutica.

Far precedere al lavoro locale sulla zona interessata un lavoro a distanza per migliorare la mobilità articolare, la funzione muscolare e l’elasticità della fascia, può essere un elemento strategico importante che ci permette di essere più efficaci a livello locale.

Cervicalgia acuta 03Con le tecniche manuali riusciamo a ridurre le tensioni muscolari e fasciali causate dal blocco articolare e dalla posizione antalgica, in questo modo la tecnica articolare specifica sarà più efficace e precisa.

I pazienti con il torcicollo sempre più spesso si rivolgono direttamente al fisioterapista/osteopata, prima che al medico di base, per un problema che può essere molto invalidante.

Compito del professionista della salute è quello di capire se è una situazione di propria competenza e risolverla il prima possibile per riportare il paziente a svolgere le normali attività quotidiane.